io so !
domenica 24 ottobre 2010
Odio gli indifferenti
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
11 febbraio 1917
PLATONE – LA REPUBBLICA – LIBRO OTTAVO
…
«Ora», ripresi, «ci resterebbe da descrivere la più bella forma di governo e il migliore individuo: la tirannide e iltiranno».«Certamente», disse.«Ebbene, caro amico, qual è il carattere della tirannide? è pressoché evidente che si tratta di un trapasso dallademocrazia».«Sì , è evidente».«Quindi la tirannide nasce dalla democrazia allo stesso modo in cui questa nasce dall’oligarchia?» «In che modo?» «Ilbene che i cittadini si proponevano», spiegai, «e per il quale avevano istituito l’oligarchia era la ricchezza eccessiva: non èvero?» «Sì ».«Ma l’insaziabile brama di ricchezza e la noncuranza d’ogni altro valore a causa dell’affarismo l’hanno portata allarovina».
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«è vero» disse.«E anche la disgregazione della democrazia non è provocata dall’insaziabile brama di ciò che si prefigge come bene?»«E che cosa, secondo te, si prefigge?» «La libertà», risposi. «In una città democratica sentirai dire che questo è il benesupremo e quindi chi è libero per natura dovrebbe abitare soltanto là».«In effetti si ripete spesso questa sentenza», osservò.«Come stavo per chiederti», proseguii, «non sono dunque la brama insaziabile e la noncuranza d’ogni altro valore atrasformare questa forma di governo e a prepararla ad avere bisogno della tirannide?» «In che senso?», domandò.«A mio parere, quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca dilibertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano moltalibertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici».«Sì », disse, «fanno questo».«E ricopre d’insulti», continuai, «coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessunvalore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e isudditi che sono simili ai governanti. In una tale città non è inevitabile che la libertà tocchi il suo culmine?» «Come no?»«Inoltre, mio caro», aggiunsi, «l’anarchia penetra anche nelle case private e alla fine sorge persino tra gli animali».«In che senso possiamo dire una cosa simile?», domandò.«Nel senso», risposi, «che ad esempio un padre si abitua a diventare simile al figlio e a temere i propri figli, il figliodiventa simile al padre e pur di essere libero non ha né rispetto né timore dei genitori; un meteco (23) si eguaglia a uncittadino e un cittadino a un meteco, e lo stesso vale per uno straniero».«In effetti accade questo», disse.«E accadono altri piccoli inconvenienti dello stesso tipo: in una tale situazione un maestro ha paura degli allievi e lilusinga, gli allievi dal canto loro fanno poco conto sia dei maestri sia dei pedagoghi; insomma, i giovani si mettono allapari dei più anziani e li contestano a parole e a fatti, mentre i vecchi, abbassandosi al livello dei giovani, si riempiono difacezie e smancerie, imitando i giovani per non sembrare spiacevoli e dispotici».«Precisamente», disse.«In una città come questa», seguitai, «caro amico, il limite estremo della libertà a cui può giungere il volgo vienetoccato quando gli uomini e le donne comprati non sono meno liberi dei loro compratori. E per poco ci dimenticavamo didire quanto sono grandi la parità giuridica e la libertà degli uomini nei confronti delle donne e delle donne nei confrontidegli uomini!».«Dunque», fece lui, «con Eschilo “diremo quel ch’ora ci venne al labbro”?» (24) «è appunto ciò che sto dicendo»,risposi: «nessuno, a meno di non constatarlo di persona, potrebbe convincersi di quanto la condizione degli animalidomestici sia più libera qui che altrove.Le cagne, secondo il proverbio, diventano esattamente come le loro padrone, i cavalli e gli asini, abituati a procederecon grande libertà e fierezza, urtano per la strada chiunque incontrino, se non si scansa, e parimenti ogni altra cosa siriempie di libertà».«Stai raccontando il mio sogno»,(25) disse, «perché anche a me, quando vado in campagna, spesso capita proprioquesto».«Ma non capisci», domandai, «che la somma di tutti questi elementi messi insieme rammollisce l’anima dei cittadini atal punto che, se si prospetta loro un minimo di sudditanza, si indignano e non lo sopportano? Tu sai che finiscono pernon curarsi neppure delle leggi, scritte e non scritte, affinché tra loro non ci sia assolutamente alcun padrone».«E come se lo so!», rispose.«Dunque, amico mio», dissi, «questo mi sembra l’inizio bello e vigoroso da cui nasce la tirannide».«Davvero vigoroso!», esclamò. «Ma che cosa succede dopo?» «Lo stesso malanno», continuai, «che si manifestanell’oligarchia portandola alla rovina, nasce anche nella democrazia, più forte e violento a causa della licenza, e laasservisce. In effetti l’eccesso produce di solito un grande mutamento in senso contrario, nelle stagioni, nelle piante, neglianimali e non ultimo anche nelle forme di governo».«è naturale», disse.«Infatti l’eccessiva libertà non sembra mutarsi in altro che nell’eccessiva schiavitù, tanto per il singolo quanto per lacittà».«Sì , è naturale».«Ed è quindi naturale», ripresi, «che la tirannide si formi solo dalla democrazia, ossia che dall’estrema libertà sisviluppi la schiavitù più grave e più feroce».
la Città del Sole
Di: Tommaso Campanella
Dialogo poetico
Interlocutori:
Ospitalario e Genovese Nochiero del Colombo
Ospitalario. Dimmi, di grazia, tutto quello che t'avvenne in questa navigazione.
Genovese. Già t'ho detto come girai il mondo tutto e poi come arrivai alla Taprobana, e fui forzato metter in terra, e poi, fuggendo la furia di terrazzani, mi rinselvai, ed uscii in un gran piano proprio sotto l'equinoziale.
Osp. Qui che t'occorse?
Gen. Subito incontrai un gran squadrone d'uomini e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia, li quali mi condussero alla Città del Sole.
Osp. Di', come è fatta questa città? e come si governa?
Gen. Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano.
È la città distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, ed ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora.
Entrando dunque per la porta Tramontana, di ferro coperta, fatta che s'alza e cala con bello ingegno, si vede un piano di cinquanta passi tra la muraglia prima e l'altra. Appresso stanno palazzi tutti uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti siano uno; e di sopra han li rivellini sopra a colonne, come chiostri di frati, e di sotto non vi è introito, se non dalla parte concava delli palazzi. Poi son le stanze belle con le fenestre al convesso ed al concavo, e son distinte con piccole mura tra loro. Solo il muro convesso è spesso otto palmi, il concavo tre, li mezzani uno o poco più.
Appresso poi s'arriva al secondo piano, ch'è dui passi o tre manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora e passeggiatori; e della parte dentro, l'altro muro, che serra i palazzi in mezzo, ha il chiostro con le colonne di sotto, e di sopra belle pitture.
E così s'arriva fin al supremo e sempre per piani. Solo quando s'entran le porte, che son doppie per le mura interiori ed esteriori, si ascende per gradi tali, che non si conosce, perché vanno obliquamente, e son d'altura quasi invisibile distinte le scale.
Nella sommità del monte vi è un gran piano ed un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio.
Osp. Di', di' mo, per vita tua.
Gen. Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia che lo circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai. La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che pende sopra l'altare, ch'è uno solo e sta nel mezzo del tempio. Girano le colonne trecento passi e più, e fuor delle colonne della cupola vi son per otto passi li chiostri con mura poco elevate sopra le sedie, che stan d'intorno al concavo dell'esterior muro, benché in tutte le colonne interiori, che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili portatili assai.
Sopra l'altare non vi è altro ch'un mappamondo assai grande, dove tutto il cielo è dipinto, ed un altro dove è la terra. Poi sul cielo della cupola vi stanno tutte le stelle maggiori del cielo, notati coi nomi loro e virtù, c'hanno sopra le cose terrene, con tre versi per una; ci sono i poli e i circoli signati non del tutto, perché manca il muro a basso, ma si vedono finiti in corrispondenza alli globbi dell'altare. Vi sono sempre accese sette lampade nominate dalli sette pianeti.
Sopra il tempio vi stanno alcune celle nella cupoletta attorno, e molte altre grandi sopra gli chiostri, e qui abitano li religiosi, che son da quaranta.
Vi è sopra la cupola una banderuola per mostrare i venti, e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione porta. E qui sta anco un libro in lettere d'oro di cose importantissime.
Osp. Per tua fé, dimmi tutto il modo del governo, ché qui t'aspettavo.
Gen. un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano.
Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore.
Il Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha cura dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni.
Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, tiene sotto di sé tanti offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le scienze.
Nelle mura del tempio esteriori e nelle cortine, che si calano quando si predica per non perdersi la voce, vi sta ogni stella ordinatamente con tre versi per una.
Nelle mura del primo girone tutte le figure matematiche, più che non scrisse Euclide ed Archimede, con la lor proposizione significante. Nel di fuore, vi è la carta della terra tutta, e poi le tavole d'ogni provinzia con li riti e costumi e leggi loro, e con l'alfabeti ordinari sopra il loro alfabeto.
Nel dentro del secondo girone vi son tutte le pietre preziose e non preziose, e minerali, e metalli veri e pinti, con le dichiarazioni di due versi per uno. Nel di fuore vi son tutte sorti di laghi, mari e fiumi, vini ed ogli ed altri liquori, e loro virtù ed origini e qualità; e ci son le caraffe piene di diversi liquori di cento e trecento anni, con li quali sanano tutte l'infirmità quasi.
Nel dentro del terzo vi son tutte le sorti di erbe ed arbori del mondo pinte, e pur in teste di terra sopra il rivellino e le dichiarazioni dove prima si ritrovaro, e le virtù loro, e le simiglianze c'hanno con le stelle e con li metalli e con le membra umane, e l'uso loro in medicina. Nel di fuora tutte maniere di pesci di fiumi, laghi e mari, e le virtù loro, e 'l modo di vivere, di generarsi e allevarsi, a che serveno; e le simiglianze c'hanno con le cose celesti e terrestri e dell'arte e della natura; sì che mi stupii, quando trovai pesce vescovo e catena e chiodo e stella, appunto come son queste cose tra noi. Ci sono ancini, rizzi, spondoli e tutto quanto è degno di sapere con mirabil arte di pittura e di scrittura che dichiara.
Nel quarto, dentro vi son tutte sorti di augelli pinti e lor qualità, grandezze e costumi, e la fenice è verissima appresso loro. Nel di fuora stanno tutte sorti di animali rettili, serpi, draghi, vermini, e l'insetti, mosche, tafani ecc., con le loro condizioni, veneni e virtuti; e son più che non pensamo.
Nel quinto, dentro vi son l'animali perfetti terrestri di tante sorti che è stupore. Non sappiamo noi la millesima parte, e però, sendo grandi di corpo, l'han pinti ancora nel fuore rivellino; e quante maniere di cavalli solamente, o belle figure dichiarate dottamente!
Nel sesto, dentro vi sono tutte l'arti meccaniche, e l'inventori loro, e li diversi modi, come s'usano in diverse regioni del mondo. Nel di fuori vi son tutti l'inventori delle leggi e delle scienze e dell'armi. Trovai Moisè, Osiri, Giove, Mercurio, Macometto ed altri assai; e in luoco assai onorato era Gesù Cristo e li dodici Apostoli, che ne tengono gran conto, Cesare, Alessandro, Pirro e tutti li Romani; onde io ammirato come sapeano quelle istorie, mi mostraro che essi teneano di tutte nazioni lingua, e che mandavano apposta per il mondo ambasciatori, e s'informavano del bene e del male di tutti; e godeno assai in questo. Viddi che nella China le bombarde e le stampe furo prima ch'a noi. Ci son poi li maestri di queste cose; e li figliuoli, senza fastidio, giocando, si trovano saper tutte le scienze istoricamente prima che abbin dieci anni.
Il Amore ha cura della generazione, con unir li maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente al vitto e vestito e coito, ed ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti.
Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo.
Osp. Or dimmi degli offizi e dell'educazione e del modo come si vive; si è republica o monarchia o stato di pochi.
Gen. Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie, ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori e d'altri predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune, si ben la communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro; ma essi l'usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna.
Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo.
Osp. Dunque nullo vorrà fatigare, mentre aspetta che l'altro fatighi, come Aristotile dice contra Platone.
Gen. Io non so disputare, ma ti dico c'hanno tanto amore alla patria loro, che è una cosa stupenda, più che si dice delli Romani, quanto son più spropriati. E credo che li preti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l'ambizione di crescere più a dignità, seriano più spropriati e santi e caritativi con tutti.
Osp. Dunque là non ci è amicizia, poiché non si fan piacere l'un l'altro.
Gen. Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che tra loro non possono donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune, e molto guardano gli offiziali, che nullo abbia più che merita. Però quanto è bisogno tutti l'hanno. E l'amico si conosce tra loro nelle guerre, nell'infirmità, nelle scienze, dove s'aiutano e s'insegnano l'un l'altro. E tutti li gioveni s'appellan frati e quei che son quindici anni più di loro, padri, e quindici meno figli. E poi vi stanno l'offiziali a tutte cose attenti, che nullo possa all'altro far torto nella fratellanza.
Osp. E come?
Gen. Di quante virtù noi abbiamo, essi hanno l'offiziale: ci è un che si chiama Liberalità, un Magnanimità, un Castità, un Fortezza, un Giustizia, criminale e civile, un Solerzia, un Verità, Beneficienza, Gratitudine, Misericordia, ecc.; e a ciascuno di questi si elegge quello, che da fanciullo nelle scole si conosce inclinato a tal virtù. E però, non sendo tra loro latrocini, né assassinii, né stupri ed incesti, adultèri, delli quali noi ci accusamo, essi si accusano d'ingratitudine, di malignità, quando un non vuol far piacere onesto, di bugia, che abborriscono più che la peste; e di questi rei per pena son privati della mensa commune, o del commerzio delle donne, e d'alcuni onori, finché pare al giudice, per ammendarli.
Osp. Or dimmi, come fan gli offiziali?
Gen. Questo non si può dire, se non sai la vita loro. Prima è da sapere che gli uomini e le donne vestono d'un modo atto a guerreggiare, benché le donne hanno la sopravveste fin sotto al ginocchio, e l'uomini sopra.
E s'allevan tutti in tutte l'arti. Dopo gli tre anni li fanciulli imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono nell'officine dell'arti, cosidori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima lezione, e in quattro ore tutte quattro le squadre si spediscono; perché, mentre gli altri si esercitano col corpo, o fan gli pubblici servizi, gli altri stanno alla lezione. Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre scienze, e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell'arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e quello è tenuto di più gran nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano e stanno oziosi e tengon in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica.
Gli offiziali poi s'eleggono da quelli quattro capi, e dalli mastri di quell'arte, li quali molto bene sanno chi è più atto a quell'arte o virtù, in cui ha da reggere, e propongono in Consiglio, e ognuno oppone quel che sa di loro. Però non può essere Sole se non quello che sa tutte l'istorie delle genti e riti e sacrifizi e republiche ed inventori di leggi ed arti. Poi bisogna che sappia tutte l'arti meccaniche, perché ogni due giorni se n'impara una, ma l'uso qui le fa saper tutte, e la pittura. E tutte le scienze ha da sapere, matematiche, fisiche, astrologiche. Delle lingue non si cura, perché ha l'interpreti, che son i grammatici loro. Ma più di tutti bisogna che sia Metafisico e Teologo, che sappia ben la radice e prova d'ogni arte e scienza, e le similitudini e differenze delle cose, la Necessità, il Fato, e l'Armonia del mondo, la Possanza, Sapienza e Amor divino e d'ogni cosa, e li gradi degli enti e corrispondenze loro con le cose celesti, terrestri e marine, e studia molto bene nei Profeti ed astrologia. Dunque si sa chi ha da esser Sole, e se non passa trentacinque anni, non arriva a tal grado; e questo offizio è perpetuo, mentre non si trova chi sappia più di lui e sia più atto al governo.
Osp. E chi può saper tanto? Anzi non può saper governare chi attende alle scienze.
Gen. Io dissi a loro questo, e mi risposero: "Più certi semo noi, che un tanto letterato sa governare, che voi che sublimate l'ignoranti, pensando che siano atti perché son nati signori, o eletti da fazione potente. Ma il nostro Sole sia pur tristo in governo, non sarà mai crudele, né scelerato, né tiranno un chi tanto sa. Ma sappiate che questo è argomento che può tra voi, dove pensate che sia dotto chi sa più grammatica e logica d'Aristotile o di questo o quello autore; al che ci vol sol memoria servile, onde l'uomo si fa inerte, perché non contempla le cose ma li libri, e s'avvilisce l'anima in quelle cose morte; né sa come Dio regga le cose, e gli usi della natura e delle nazioni. Il che non può avvenire al nostro Sole, perché non può arrivare a tante scienze chi non è scaltro d'ingegno ad ogni cosa, onde è sempre attivissimo al governo. Noi pur sappiamo che chi sa una scienza sola, non sa quella né l'altre bene; e che colui che è atto a una sola, studiata in libro, è inerte e grosso. Ma non così avviene alli pronti d'ingegno e facili ad ogni conoscenza, come è bisogno che sia il Sole. E nella città nostra s'imparano le scienze con facilità tale, come tu vedi, che più in un anno qui si sa, che in diece o quindici tra voi, e mira in questi fanciulli."
Nel che io restai confuso per le ragioni sue e la prova di quelli fanciulli, che intendevano la mia lingua; perché d'ogni lingua sempre han d'esser tre che la sappiano. E tra loro non ci è ozio nullo, se non quello che li fa dotti; che però vanno in campagna a correre, a tirar dardo, sparar archibugi, seguitar fiere, lavorare, conoscer l'erbe, mo una schiera, mo l'altra di loro.
Li tre offiziali primi non bisogna che sappiano se non quell'arti che all'offizio loro partengono. Onde sanno l'arti communi a tutti, istoricamente imparandole, e poi le proprie, dove più si dà uno che un altro: così il Potestà saperà l'arte cavalieresca, fabricar ogni sorte d'armi, cose di guerra, machine, arte militare, ecc. Ma tutti questi offiziali han d'essere filosofi, e più, ed istorici, naturalisti ed umanisti.
Osp. Vorrei che dicessi l'offizi tutti, e li distinguessi; e s'è bisogno l'educazion commune.
Gen. Sono prima le stanze communi, dormitori, letti e bisogni; ma ogni sei mesi si distinguono dalli mastri, chi ha da dormire in questo girone o in quell'altro, e nella stanza prima o seconda, notate per alfabeto.
Poi son l'arti communi agli uomini e donne, le speculative e meccaniche; con questa distinzione, che quelle dove ci va fatica grande e viaggio, le fan gli uomini, come arare, seminare, cogliere i frutti, pascer le pecore, operar nell'aia, nella vendemmia. Ma nel formar il cascio e mungere si soleno le donne mandare, e nell'orti vicini alla città per erbe e servizi facili. Universalmente, le arti che si fanno sedendo e stando, per lo più son delle donne, come tessere, cuscire, tagliar i capelli e le barbe, la speziaria, fare tutte le sorti di vestimenti; altro che l'arte del ferraro e delle armi. Pur chi è atta a pingere, non se le vieta. La musica è solo delle donne, perché più dilettano, e de' fanciulli, ma non di trombe e tamburi. Fanno anche le vivande; apparecchiano le mense; ma il servire a tavola è proprio delli gioveni, maschi e femine, finché sono di vint'anni.
Hanno in ogni girone le publiche cucine e le dispense della robba. E ad ogni officio soprastante è un vecchio ed una vecchia, che comandano ed han potestà di battere o far battere da altri li negligenti e disobedienti, e notano ognuno ed ognuna in che esercizio meglio riesce. Tutta la gioventù serve alli vecchi che passano quarant'anni; ma il mastro o maestra han cura la sera, quando vanno a dormire, e la mattina di mandar alli servizi di quelli a chi tocca, uno o due ad ogni stanza, ed essi gioveni si servono tra loro, e chi ricusa, guai a lui! Vi son prime e seconde mense; d'una parte mangiano le donne, dall'altra gli uomini, e stanno come in refettori di frati. Si fa senza strepito, ed un sempre legge a tavola, cantando, e spesso l'offiziale parla sopra qualche passo della lezione. una dolce cosa vedersi servire di tanta bella gioventù, in abito succinto, così a tempo, e vedersi a canto tanti amici, frati, figli e madri vivere con tanto rispetto ed amore.
Si dona a ciascuno, secondo il suo esercizio, piatto di pitanza e menestra, frutti, cascio; e li medici hanno cura di dire alli cochi in quel giorno, qual sorte di vivanda conviene, e quale alli vecchi e quale alli giovani e quale all'ammalati. Gli offiziali hanno la miglior parte; questi mandano spesso della loro a tavola a chi più si ha fatto onore la mattina nelle lezioni e dispute di scienze ed armi, e questo si stima per grande onore e favore. E nelle feste fanno cantar una musica pur in tavola; e perché tutti metteno mano alli servizi, mai non si trova che manchi cosa alcuna, Son vecchi savi soprastanti a chi cucina ed alli refettori, e stimano assai la nettezza nelle strade, nelle stanze e nelli vasi e nelle vestimenta e nella persona.
Vesteno dentro camisa bianca di lino, poi un vestito, ch'è giubbone e calza insieme, senza pieghe e spaccato per mezzo, dal lato e di sotto, e poi imbottonato. Ed arriva la calza sin al tallone, a cui si pone un pedale grande come un bolzacchino, e la scarpa sopra. E son ben attillate, che quando si spogliano la sopravveste, si scerneno tutte le fattezze della persona. Si mutano le vesti quattro volte varie, quando il Sole entra in Cancro e Capricorno, Ariete e Libra. E, secondo la complessione e la procerità, sta al Medico di distribuirle col Vestiario di ciascun girone. Ed è cosa mirabile che in un punto hanno quante vesti vogliono, grosse, sottili, secondo il tempo. Veston tutti di bianco, ed ogni mese si lavan le vesti col sapone, o bucato quelle di tela.
Tutte le stanze sottane, sono officine, cucine, granari, guardarobbe, dispense, refettori, lavatori; ma si lavano nelle pile delli chiostri. L'acqua si getta per le latrine o per canali, che vanno a quelle. Hanno in tutte le piazze delli gironi le lor fontane, che tirano l'acque dal fondo solo con muover un legno, onde esse spicciano per li canali. Vi è acqua sorgente, e molta nelle conserve a cui vanno le piogge per li canali delle case, passando per arenosi acquedotti. Si lavano le persone loro spesso, secondo il maestro e 'l medico ordina. L'arti si fanno tutte nei chiostri di sotto, e le speculative di sopra, dove sono le pitture, e nel tempio si leggono.
Negli atri di fuora son orologi di sole e di squille per tutti i gironi, e banderuole per saper i venti.
Osp. Or dimmi della generazione.
Gen. Nulla femina si sottopone al maschio, se non arriva a dicinov'anni né maschio si mette alla generazione inanti alli vintiuno, e più si è di complessione bianco. Nel tempo inanti è ad alcuno lecito il coito con le donne sterili o pregne, per non far in vaso indebito; e le maestre matrone con gli seniori della generazione han cura di provederli, secondo a loro è detto in secreto da quelli più molestati da Venere. Li provedono, ma non lo fanno senza far parola al maestro maggiore, che è un gran medico, e sottostà ad Amore, Prencipe offiziale. Se si trovano in sodomia, sono vituperati, e li fan portare due giorni legata al collo una scarpa, significando che pervertiro l'ordine e posero li piedi in testa, e la seconda volta crescen la pena finché diventa capitale. Ma chi si astiene fin a ventun anno d'ogni coito è celebrato con alcuni onori e canzoni.
Perché quando si esercitano alla lotta, come i Greci antichi, son nudi tutti maschi e femine, li mastri conoscono chi è impotente o no al coito, e quali membra con quali si confanno. E così, sendo ben lavati, si donano al coito ogni tre sere; e non accoppiano se non le femine grandi e belle alli grandi e virtuosi, e le grasse a' macri, e le macre alli grassi, per far temperie. La sera vanno i fanciulli e si conciano i letti, e poi vanno a dormire, secondo ordina il mastro e la maestra. Né si pongono al coito se non quando hanno digerito, e prima fanno orazione, ed hanno belle statue di uomini illustri, dove le donne mirano. Poi escono alla fenestra, e pregono Dio del Cielo, che li doni prole buona. E dormeno in due celle, sparti fin a quell'ora che si han da congiungere, ed allora va la maestra, ed apre l'uscio dell'una e l'altra cella. Questa ora è determinata dall'Astrologo e Medico; e si forzan sempre di pigliar tempo, che Mercurio e Venere siano orientali dal Sole in casa benigna e che sian mirati da Giove di buono aspetto e da Saturno e Marte. E così il Sole come la Luna, che spesso sono afete. E per lo più vogliono Vergine in ascendente; ma assai si guardano che Saturno e Marte non stiano in angolo, perché tutti quattro angoli con opposizioni e quadrati infettano, e da essi angoli è la radice della virtù vitale e della sorte, dependente dall'armonia del tutto con le parti. Non si curano del satellizio, ma solo degli aspetti buoni. Ma il satellizio solo nella fondazione della città e della legge ricercano, che però non abbia prencipe Marte o Saturno, se non con buone disposizioni. Ed han per peccato li generatori non trovarsi mondi tre giorni avanti di coito e d'azioni prave, e di non esser devoti al Creatore. Gli altri, che per delizia o per servire alla necessità si donano al coito con sterili o pregne o con donne di poco valore, non osservan queste sottigliezze. E gli offiziali, che son tutti sacerdoti, e li sapienti non si fanno generatori, se non osservano molti giorni più condizioni; perché essi, per la molta speculazione, han debole lo spirito animale, e non transfondeno il valor della testa, perché pensano sempre a qualche cosa; onde trista razza fanno. Talché si guarda bene, e si donano questi a donne vive, gagliarde e belle; e gli uomini fantastichi e capricciosi a donne grasse, temperate, di costumi blandi. E dicono che la purità della complessione, onde le virtù fruttano, non si può acquistare con arte, e che difficilmente senza disposizion naturale può la virtù morale allignare, e che gli uomini di mala natura per timor della legge fanno bene, e, quella cessante, struggon la republica con manifesti o segreti modi. Però tutto lo studio principale deve essere nella generazione, e mirar gli metodi naturali, e non la dote e la fallace nobiltà-
Se alcune di queste donne non concipeno con uno, le mettono con altri; se poi si trova sterile, si può accomunare, ma non ha l'onor delle matrone in Consiglio della generazione e nella mensa e nel tempio; e questo lo fanno perché essa non procuri la sterilità per lussuriare. Quelle che hanno conceputo, per quindici giorni non si esercitano; poi fanno leggeri esercizi per rinforzar la prole, ed aprir li meati del nutrimento a quella. Partorito che hanno, esse stesse allevano i figli in luoghi communi, per due anni lattando e più, secondo pare al Fisico. Dopo si smamma la prole, e si dona in guardia delle mastre, se son femine, o delli maestri. E con gli altri fanciulli qui si esercitano all'alfabeto, a caminare, correre, lottare, ed alle figure istoriate; ed han vesti di color vario e bello. Alli sette anni si donano alle scienze naturali, e poi all'altre, secondo pare alli offiziali, e poi si mettono in meccanica. Ma li figli di poco valore si mandano alle ville e, quando riescono, poi si riducono alla città. Ma per lo più, sendo generati nella medesima costellazione, li contemporanei son di virtù consimili e di fattezze e di costumi. E questa è concordia stabile nella republica, e s'amano grandemente ed aiutano l'un l'altro.
Li nomi loro non si mettono a caso, ma dal Metafisico, secondo la proprietà, come usavan li Romani: onde altri si chiamano il Bello, altri il Nasuto, altri il Peduto, altri Bieco, altri Crasso, ecc.; ma quando poi diventano valenti nell'arte loro o fanno qualche prova in guerra, s'aggiunge il cognome dall'arte, come Pittor Magno, Aureo, Eccellente, Gagliardo, dicendo Crasso Aureo, ecc.; o pur dall'atto dicendo: Crasso Forte, Astuto, Vincitore, Magno Massimo, ecc., e dal nemico vinto, come Africano, Asiano, Tosco, ecc.; Manfredi, Tortelio dall'aver superato Manfredi o Tortelio o simili altri. e questi cognomi s'aggiungono dall'offiziali grandi, e si donano conveniente all'atto o arte sua, con applauso e musica. E si vanno a perdere per questi applausi, perché oro e argento non si stima, se non come materia di vasi o di guarnimenti communi a tutti.
Osp. Non ci è gelosia tra loro o dolore a chi non sia fatto generatore o quel che ambisce?
Gen. Signor no, perché a nullo manca il necessario loro quanto al gusto; e la generazione è osservata religiosamente per ben pubblico, non privato, ed è bisogno stare al detto dell'offiziali. Platone disse che si dovean gabbare li pretendenti a belle donne immeritatamente, con far uscir la sorte destramente secondo il merito; il che qui non bisogna far con inganno di ballotte per contentarsi delle brutte i brutti, perché tra loro non ci è bruttezza; ché, esercitandosi esse donne, diventano di color vivo e di membra forti e grandi, e nella gagliardia e vivezza e grandezza consiste la beltà appresso a loro. Però è pena di vita imbellettarsi la faccia, o portar pianelle, o vesti con le code per coprir i piedi di legno, ma non averiano commodità manco di far questo, perché chi ci li daria? E dicono che questo abuso in noi viene dall'ozio delle donne, che le fa scolorite e fiacche e piccole; e però han bisogno di colori ed alte pianelle, e di farsi belle per tenerezza, e così guastano la propria complessione e della prole. Di più, s'uno s'innamora di qualche donna, è lecito tra loro parlare, far versi, scherzi, imprese di fiori e di piante. Ma se si guasta la generazione, in nullo modo si dispensa tra loro il coito, se non quando ella è pregna o sterile. Però non si conosce tra loro se non amor d'amicizia per lo più, non di concupiscenza ardente.
La robba non si stima, perché ognuno ha quanto li bisogna, salvo per segno d'onore. Onde agli eroi ed eroisse la republica fa certi doni, in tavola o in feste publiche, di ghirlande o di vestimenta belle fregiate; benché tutti di bianco il giorno e nella città, ma di notte e fuor della città vestono a rosso, o di seta o di lana. Aborreno il color nero, come feccia delle cose, e però odiano i Giapponesi, amici di quello. La superbia è tenuta per gran peccato, e si punisce un atto di superbia in quel modo che l'ha commesso. Onde nullo reputa viltà lo servire in mensa, in cucina o altrove, ma lo chiamano imparare; e dicono che così è onore al piede caminare, come allo occhio guardare; onde chi è deputato a qualche offizio, lo fa come cosa onoratissima, e non tengono schiavi, perché essi bastano a se stessi, anzi soverchiano. Ma noi non così, perché in Napoli son da trecento mila anime, e non faticano cinquanta milia; e questi patiscono fatica assai e si struggono; e l'oziosi si perdono anche per l'ozio, avarizia, lascivia ed usura, e molta gente guastano tenendoli in servitù e povertà, o fandoli partecipi di lor vizi, talché manca il servizio publico, e non si può il campo, la milizia e l'arti fare, se non male e con stento. Ma tra loro, partendosi l'offizi a tutti e le arti e fatiche, non tocca faticar quattro ore il giorno per uno; sì ben tutto il resto è imparare giocando, disputando, leggendo, insegnando, caminando, e sempre con gaudio. E non s'usa gioco che si faccia sedendo, né scacchi, né dadi, né carte o simili, ma ben la palla, pallone, rollo, lotta, tirar palo, dardo, archibugio.
Dicono ancora che la povertà grande fa gli uomini vili, astuti, ladri, insidiosi, fuorasciti, bugiardi, testimoni falsi; e le ricchezze insolenti, superbi, ignoranti, traditori, disamorati, presumitori di quel che non sanno. Però la communità tutti li fa ricchi e poveri: ricchi, ch'ogni cosa hanno e possedono; poveri, perché non s'attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa serve a loro. E molto laudano in questo le religioni della cristianità e la vita dell'Apostoli.
Osp. bella cosa questa e santa; ma quella delle donne communi pare dura e ardua. S. Clemente Romano dice che le donne pur sian communi, ma la glosa intende quanto all'ossequio, non al letto, e Tertulliano consente alla glosa; ché i Cristiani antichi tutto ebbero commune, altro che le mogli, ma queste pur furo communi nell'ossequio.
Gen. Io non so di questo; e ben so che essi han l'ossequio commune delle donne e 'l letto, ma non sempre, se non per generare. E credo che si possano ingannare ancora; ma essi si difendono con Socrate, Catone, Platone ed altri. Potria stare che lasciassero quest'uso un giorno, perché nelle città soggette a loro non accomunano se non le robbe, e le donne quanto all'ossequio ed all'arti, ma non al letto; e questo l'ascrivono all'imperfezione di quelli che non ha filosofato. Però vanno spiando di tutte nazioni l'usanze, e sempre migliorano; e quando sapranno le ragioni vive del cristianesimo provate con miracoli, consentiranno, perché son dolcissimi. Ma fin mo trattano naturalmente senza fede rivelata; né ponno a più sormontare.
Di più questo è bello, che fra loro non ci è difetto che faccia l'uomo ozioso, se non l'età decrepita, quando serve solo per consiglio. Ma chi è zoppo serve alle sentinelle con gli occhi; chi non ha occhi serve a carminar la lana e levar il pelo dal nervo delle penne per li matarazzi, chi non ha mani, ad altro esercizio; e se un membro solo ha, con quello serve nelle ville, e son governati bene, e son spie che avvisano alla republica ogni cosa.
Osp. Di' mo della guerra; ché poi dell'arti e vitto mi dirai, poi delle scienze, e al fine della religione.
Gen. Il Potestà tiene sotto di sé un offiziale dell'armi, un altro dell'artellaria, un delli cavalieri, un delli ingegneri; ed ognuno di questi ha sotto di sé molti capi mastri di quell'arte. Ma di più ci sono gli atleti, che a tutti insegnano l'esercizio della guerra. Questi sono attempati, prudenti capitani, che esercitano li gioveni e di dodici anni in suso all'arme; benché prima nella lotta e correre e tirar pietre erano avvezzi da mastri inferiori. Or questi insegnano a ferire, a guadagnar l'inimico con arte, a giocar di spada, di lancia, a saettare, a cavalcare, a seguire, a fuggire, a star nell'ordine militare. E le donne pure imparano queste arti sotto maestre e mastri loro, per quando fusse bisogno aiutar gli uomini nelle guerre vicine alla città; e, se venisse assalto, difendono le mura. Onde ben sanno sparar l'archibugio, far balle, gittar pietre, andar incontro. E si sforzano t"r da loro ogni timore, ed hanno gran pene quei che mostran codardia. Non temono la morte, perché tutti credono l'immortalità dell'anima, e che, morendo, s'accompagnino con li spiriti buoni e rei, secondo li meriti. Benché essi siano stati Bragmani Pitagorici, non credono trasmigrazione d'anima, se non per qualche giudizio di Dio. Né s'astengono di ferir il nemico ribello della ragione, che non merita esser uomo.
Fanno la mostra ogni dui mesi, ed ogni giorno ci è l'esercizio dell'arme, o in campagna, cavalcando, o dentro, ed una lezione d'arte militare, e fanno sempre leggere l'istorie di Cesare, d'Alessandro, di Scipione e d'Annibale, e poi donano il giudizio loro quasi tutti, dicendo: "Qui fecero bene, qui male"; e poi risponde il mastro e determina.
Osp. Con chi fan le guerre? e per che causa, se son tanto felici?
Gen. Se mai non avessero guerra, pure s'esercitano all'arte di guerra ed alla caccia per non impoltronire e per quel che potria succedere. Di più, vi son quattro regni nell'isola, li quali han grande invidia della felicità loro, perché li popoli desiderariano vivere come questi Solari, e vorriano star più soggetti ad essi, che non a' propri regi. Onde spesso loro è mossa guerra, sotto color d'usurpar confini e di viver empiamente, perché non sequeno le superstizioni di Gentili, né dell'altri Bragmani; e spesso li fan guerra, come ribelli che prima erano soggetti. E con tutto questo perdono sempre. Or essi Solari, subito che patiscono preda, insulto o altro disonore, o son travagliati l'amici loro, o pure son chiamati d'alcune città tiranneggiate come liberatori, essi si mettono a consiglio, e prima s'inginocchiano a Dio e pregano che li faccia ben consigliarsi, poi s'esamina il merito del negozio, e così si bandisce la guerra. Mandano un sacerdote detto il Forense: costui dimanda a' nemici che rendano il tolto o lascino la tirannia; e se quelli negano, li bandiscono la guerra., chiamando Dio delle vendette a testimonio contra di chi ha il torto; e si quelli prolungano il negozio, non li danno tempo, si è re, più d'un ora, si è republica, tre ore a deliberar la risposta, per non esser burlati; e così si piglia la guerra, se quelli son contumaci alla ragione. Ma dopo ch'è pigliata, ogni cosa esequisce il locotenente del Potestà; ed esso comanda senza consiglio d'altri; ma si è cosa di momento, domanda il Amor e 'l Sapienza e 'l Sole. Si propone in Consiglio grande, dove entra tutto il popolo di venti anni in su, e le donne ancora, e si dichiara la giustizia dell'impresa dal Predicatore, e mettono in ordine ogni cosa.
Devesi sapere ch'essi hanno tutte le sorti d'arme apparecchiate nell'armari, e spesso si provano quelle in guerre finte. Han per tutti li gironi, nell'esteriore muro, l'artellerie e l'artiglieri preparati e molti altri cannoni di campagna che portano in guerra, e n'han pur di legno, nonché di metallo; e così sopra le carra li conducono, l'altre munizioni nelle mule, e bagaglie. E se sono in campo aperto, serrano le bagaglie in mezzo e l'artellerie, e combattono gran pezzo, e poi fan ritirata. E 'l nemico, credendo che cedano, s'inganna; perché essi fanno ala, pigliano fiato e lasciano l'artiglierie sparare, e poi tornano alla zuffa contra nemici scompigliati. Usano far i padiglioni alla romana con steccati e fosse intorno con gran prestezza. Ci son li mastri di bagaglie, d'artellerie e dell'opere. Tutti soldati san maneggiar la zappa e la secure. Vi son cinque, otto o diece capitani di consiglio di guerra e di stratagemme, che comandano alle squadre loro secondo prima insieme si consigliarono. Soleno portar seco una squadra di fanciulli a cavallo per imparar la guerra, ed incarnarsi, come lupicini al sangue; e nei pericoli si ritirano, e molte donne e fanciulli fanno carezze alli guerrieri, li medicano, servano, abbracciano e confortano; e quelli, per mostrarsi valenti alle donne e figli loro, fanno gran prove. Nell'assalti, chi prima saglie il muro ha dopo in onore una corona di gramigna con applauso militare delle donne e fanciulli. Chi aiuta il compagno ha la corona civica di quercia; chi uccide il tiranno, le spoglie opime, che porta al tempio, e si dona al Sole il cognome dell'impresa.
Usano i cavalieri una lancia, due pistole avanti cavallo, di mirabil tempra, strette in bocca, che per questo passano ogni armatura, ed hanno anco lo scocco. Altri portano la mazza, e questi son gli uomini d'arme, perché, non potendo un'armatura ferrea penetrare con spada o con pistola, sempre assaltano il nemico con la mazza, come Achille contra Cigno, e lo sconquassano e gittano. Ha due catene la mazza in punta, a cui pendeno due palle, che, menando, circondano il collo del nemico, lo cingeno, tirano e gettano; e, per poterla maneggiare, non tengono briglia con mano, ma con li piedi, incrocchiata nella sella, ed avvinchiata nell'estremo alle staffe, non alli piedi, per non impedirsi; e le staffe han di fuori la sfera e dentro il triangolo, onde il piè torcendo ne' lati, le fan girare, ché stan affibbiate alli staffili, e così tirano a sé o allungano il freno con mirabil prestezza, e con la destra torceno a sinistra ed a contrario. Questo secreto manco i Tartari hanno inteso, ché stirare e torcere non usano con le staffe. Li cavalli leggeri cominciano con li schioppi, e poi entrano l'aste e le frombole, delle quali tengono gran conto. E usano combattere per fila intessute, andando altri, ed altri ritirandosi a vicenda; e le spade sono l'ultima prova.
Ci son poi li trionfi militari ad uso di Romani, e più belli, e le supplicazioni ringraziatorie. E si presenta al tempio il capitano, e si narrano li gesti dal poeta o istorico ch'andò con lui. E 'l Principe lo corona, ed a tutti soldati fa qualche regalo ed onore, e per molti dì sono esenti dalle fatiche publiche. Ma essi l'hanno a male, perché non sanno stare oziosi ed aiutano gli altri. E all'incontro quei che per loro colpa han perduto, si ricevono con vituperio, e chi fu il primo a fuggire non può scampar la morte, se non quando tutto l'esercito domanda in grazia la sua vita, ed ognuno piglia parte della pena. Ma poco s'ammette tal indulgenza, si non quando ci è gran ragione. Chi non aiutò l'amico o fe' atto vile, è frustato; chi fu disobediente, si mette a morire dentro a un palco di bestie con un bastone in mano, e se vince i leoni e l'orsi, che è quasi impossibile, torna in grazia.
Le città superate o date a loro subito mettono ogni avere in commune, e riceveno gli offiziali solari e la guardia, e si van sempre acconciando all'uso della Città del Sole, maestra loro; e mandano li figli ad imparare in quella, senza contribuire a spese.
Saria lungo a dirti del mastro delle spie e sentinelle, degli ordini loro dentro e fuore la città, che te li puoi pensare, ché son eletti da bambini secondo l'inclinazione e costellazione vista nella genitura loro. Onde ognuno, oprando secondo la proprietà sua naturale, fa bene quell'esercizio e con piacere per esserli naturale; così dico delle stratagemme ed altri. La città di notte e di giorno ha le guardie nelle quattro porte e nelle mura estreme, su li torrioni e valguardi: e lo girone il dì le femine, la notte li maschi guardano; e questo lo fanno per non impoltronire e per li casi fortuiti. Han le veglie, come i nostri soldati, divise di tre in tre ore; la sera entrano in guardia.
Usano le cacce per imagini di guerra, e li giochi in piazza a cavallo e a piede ogni festa, e poi segue la musica.
Perdonano volentieri a' nemici e dopo la vittoria li fanno bene. Se gettano mura o vogliono occider i capi o altro danno a' vinti, tutto fanno in un giorno, e poi li fanno bene, e dicono che non si deve far guerra se non per far gli uomini buoni, non per estinguerli. Se tra loro ci è qualche gara d'ingiuria o d'altro, perché essi non contendono se non di onore, il Principe ed i suoi offiziali puniscono il reo secretamente, s'incorse ad ingiuria di fatto dopo le prime ire; se di parole, aspettano in guerra a diffinirle, dicendo che l'ira si deve sfogare contra l'inimici. E chi fa poi in guerra più atti eroici, quello è tenuto c'abbia raggione nell'onoranza, e l'altro cede. Ma nelle cose del giusto ci son le pene; però in duello di mano non ponno venire, e chi vuol mostrarsi megliore, faccilo in guerra publica.
Osp. Bella cosa per non fomentar fazioni a roina della patria e schifar le guerre civili, onde nasce il tiranno, come fu in Roma e Atene. Narra or, ti prego, dell'artifici loro.
Gen. Devi avere inteso come commune a tutti è l'arte militare, l'agricoltura, la pastorale; ch'ognuno è obbligato a saperle, e queste son le più nobili tra loro; ma chi più arti sa, più nobile è, e nell'esercitarla quello è posto, che è più atto. L'arti fatigose, ed utili son di più laude, come il ferraro, il fabricatore; e non si schifa nullo a pigliarle, tanto più che nella natività loro si vede l'inclinazione, e tra loro, per lo compartimento delle fatiche, nullo viene a participar fatica destruttiva dell'individuo, ma solo conservativa. L'arti che sono di manco fatica son delle femine. Le speculative son di tutti, e chi più è eccellente si fa lettore; e questo è più onorato che nelle meccaniche, e si fa sacerdote. Saper natare è a tutti necessario, e ci sono a posta le piscine fuor delle fosse della città, e dentro vi son le fontane.
La mercatura a loro poco serve, ma però conoscono il valor delle monete, e battono moneta per l'ambasciatori loro, acciocché possano commutare con le pecunia il vitto che non ponno portare, e fanno venire d'ogni parte del mondo mercanti a loro per smaltir le cose soverchie, e non vogliono danari, se non merci di quelle cose che essi non hanno. E si ridono quando vedeno i fanciulli, che quelli donano tanta robba per poco argento, ma non li vecchi. Non vogliono che schiavi o forastieri infettino la città di mali costumi; però vendono quelli che pigliano in guerra, o li mettono a cavar fosse o far esercizi faticosi fuor della città, dove sempre vanno quattro squadre di soldati a guardare il territorio e quelli che lavorano, uscendo dalle quattro porte, le quali hanno le strade di mattoni fin al mare per condotta delle robbe e facilità delli forastieri. Alli quali fanno gran carezze, li donano da mangiare per tre giorni, li lavano li piedi, li fan veder la città e l'ordine loro, entrare a Consiglio ed a mensa. E ci son uomini deputati a guardarli, e se voglion farsi cittadini, li provano un mese nelle ville ed uno nella città, e così poi risolveno, e li ricevono con certe cerimonie e giuramenti.
L'agricoltura è in gran stima: non ci è palmo di terra che non frutti. Osservano li venti e le stelle propizie, ed escono tutti in campo armati ad arare, seminare, zappare, metere, raccogliere, vindemmiare, con musiche, trombe e stendardi; ed ogni cosa fanno tra pochissime ore. Hanno le carra a vela, che caminano con il vento, e quando non ci è vento, una bestia tira un gran carro, bella cosa, ed han li guardiani del territorio armati, che per li campi sempre van girando. Poco usano letame all'orti ed a' campi, dicendo che li semi diventano putridi e fan vita breve, come le donne imbellettate e non belle per esercizio fanno prole fiacca. Onde né pur la terra imbellettano, ma ben l'esercitano, ed hanno gran secreti di far nascer presto e multiplicare, e non perder seme. E tengon un libro a posta di tal esercizio, che si chiama la Georgica. Una parte del territorio, quanto basta, si ara; l'altra serve per pascolo delle bestie. Or questa nobil arte di far cavalli, bovi, pecore, cani ed ogni sorte d'animali domestici è in sommo pregio appresso loro, come fu in tempo antico d'Abramo; e con modi magici li fanno venire al coito, che possan ben generare, inanzi a cavalli pinti o bovi o pecore; e non lasciano andar in campagna li stalloni con le giumente, ma li donano a tempo opportuno inanzi alle stalle di campagna. Osservano Sagittario in ascendente, con buono aspetto di Marte e Giove: per li bovi, Tauro, per le pecore, Ariete, secondo l'arte. Hanno poi mandre di galline sotto le Pleiadi e papare e anatre, guidate a pascere dalle donne con gusto loro presso alla città e li luochi, dove la sera son serrate a far il cascio e latticini, butiri e simili. Molto attendono a' caponi ed a' castrati ed al frutto, e ci è un libro di quest'arte detto la Bucolica. Ed abbondano d'ogni cosa, perché ognuno desidera esser primo alla fatica per la docilità delli costumi e per esser poca e fruttuosa; ed ognun di loro, che è capo di questo esercizio, s'appella Re, dicendo che questo è nome loro proprio, e di chi non sa. Gran cosa, che le donne ed uomini sempre vanno in squadroni, né mai soli, e sempre all'obedienza del capo si trovano senza nullo disgusto; e ciò perché l'hanno come padre o frate maggiore.
Han poi le montagne e le cacce d'animali, e spesso s'esercitano.
La marineria è di molta reputazione, e tengono alcuni vascelli, che senza vento e senza remi caminano, ed altri con vento e remi. Intendono assai le stelle, e flussi e reflussi del mare, e navigano per conoscer genti e paesi. A nullo fan torto; senza esser stimolati non combattono. Dicono che il mondo averà da riducersi a vivere come essi fanno, però cercano sempre sapere se altri vivono meglio di loro. Hanno confederazione con gli Chinesi, e con più popoli isolani e del continente, di Siam di Cancacina e di Calicut, solo per spiare.
Hanno anche gran secreti di fuochi artifiziali per le guerre marine e terrestri, e stratagemme, che mai non restan di vincere.
Osp. Che e come mangiano? e quanto è lunga la vita loro?
Gen. Essi dicono che prima bisogna mirar la vita del tutto e poi delle parti; onde quando edificaro la città, posero i segni fissi nelli quattro angoli del mondo. Il Sole in ascendente in Leone, e Giove in Leone orientale dal Sole, e Mercurio e Venere in Cancro, ma vicini, che facean satellizio; Marte nella nona in Ariete, che mirava di sua casa con felice aspetto l'ascendente e l'afeta. e la Luna in Tauro, che mirava di buono aspetto Mercurio e Venere, e non facea aspetto quadrato al Sole. Stava Saturno entrando nella quarta, senza far malo aspetto a Marte ed al Sole. La Fortuna con il capo di Medusa in decima quasi era, onde essi s'augurano signoria, fermezza e grandezza. E Mercurio, sendo in buono aspetto di Vergine e nella triplicità dell'asside suo, illuminato dalla Luna, non può esser tristo; ma, sendo gioviale, la scienza loro non mendica; poco curando d'aspettarlo in Vergine e la congiunzione.
Or essi mangiano carne, butiri, mele, cascio, dattili, erbe diverse, e prima non volean uccidere gli animali, parendo crudeltà; ma poi vedendo che era crudeltà ammazzar l'erbe, che han senso, onde bisognava morire, consideraro che le cose ignobili son fatte per le nobili, e magnano ogni cosa. Non però uccidono volentieri l'animali fruttuosi, come bovi e cavalli. Hanno però distinto li cibi utili dalli disutili, e secondo la medicina si serveno; una fiata mangiano carne, una pesce ed una erbe, e poi tornano alla carne per circolo, per non gravare né estenuare la natura. Li vecchi han cibi più digestibili, e mangiano tre volte il giorno e poco, li fanciulli quattro, la communità due. Vivono almeno cento anni, al più centosettanta, o duecento al rarissimo. E son molto temperati nel bevere: vino non si dona a' fanciulli sino alli diciannove anni senza necessità grandissima, e bevono con acqua poi, e così le donne; li vecchi di cinquanta anni in su beveno senz'acqua. Mangiano, secondo la stagione dell'anno, quel che è più utile e proprio, secondo provisto viene dal capo medico, che ha cura. Usano assai l'odori: la mattina, quando si levano, si pettinano e lavano con acqua fresca tutti; poi masticano maiorana e petroselino o menta, e se la frecano nelle mani, e li vecchi usano incenso; e fanno l'orazione brevissima a levante come il Pater Noster; ed escono e vanno chi a servire i vecchi, chi in coro, chi ad apparecchiare le cose del commune; e poi escono all'esercizio, poi riposano poco, sedendo, e vanno a magnare.
Tra loro non ci è podagre, né chiragre, né catarri, né sciatiche, né doglie coliche, né flati, perché questi nascono dalla distillazione ed inflazione, ed essi per l'esercizio purgano ogni flato ed umore. Onde è tenuto a vergogna che uno si vegga sputare, dicendo che questo nasce da poco esercizio, da poltroneria o da mangiar ingordo. Patiscono più tosto d'infiammazioni e spasmi secchi alli quali con la copia del buon cibo e bagni sovvengono; ed all'etica con bagni dolci e latticini, e star in campagne amene in bello esercizio. Morbo venereo non può allignare, perché si lavano spesso li corpi con vino ed ogli aromatici; e il sudore anche leva quell'infetto vapore, che putrefà il sangue e le midolle. Né tisici si fanno, per non essere distillazione che cali al petto, e molto meno asma, poiché umor grosso ci vuole a farla. Curano le febri ardenti con acqua fresca, e l'efimere solo con odori e brodi grassi o con dormire o con suoni ed allegrie; le terzane con levar sangue e con reubarbaro o simili attrattivi, e con bevere acque di radici d'erbe purganti ed acetose. Di rado vengono a medicina purgante. Le quartane son facili a sanare per paure sùbite, per erbe simili all'umore od opposite; e mi mostraro certi secreti mirabili di quelle. Delle continue tengono conto assai, e fanno osservanza di stelle e d'erbe, e preghiere a Dio per sanarle. Quintane, ottane, settane poche si trovano, dove non ci sono umori grossi. Usano li bagni e l'olei all'usanza antica, e ci trovaro molti più secreti per star netto, sano, gagliardo. Si sforzano con questi ed altri modi aiutarsi contra il morbo sacro che ne pateno spesso.
Osp. Segno d'ingegno grande, onde Ercole, Socrate, Macometto, Scoto e Callimaco ne patiro.
Gen. E s'aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti della testa e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di fiori di farina. Nel condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro e con aromati assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno annevato, come i Napolitani, neanche caldo, come li Chinesi, perché non han bisogno d'aiutarsi contra l'umori grossi in favor del natio calore, ma lo confortano con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta, basilico, l'estate e nella stanchezza; né contra il soverchio calor dell'aromati aumentato, perché non escono di regola. Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione, con bell'arte.
Osp. Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali.
Gen. Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò più. Ogni nove luna ed ogni opposizione sua fanno Consiglio dopo il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti anni in suso, e si dimanda ad ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale è buono e chi è tristo. Dopo ogn'otto dì, si congregano tutti gli offiziali, che con il Sole, Pon, Sir, Mor; ed ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé, che son tredici, ed ognun di questi tre altri, che son tutti quaranta; e quelli han l'offizi dell'arti convenienti a loro, il Potestà della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto, generazione e vestito ed educazione; e li mastri d'ogni squadra, cioè caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come degli uomini. E si ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon gli offiziali, pria nominati in Consiglio grande. Dopo ogni dì fa consiglio Sole e li tre Principi delle cose occorrenti, e confirmano e conciano quel che si è trattato nell'elezione e gli altri bisogni. Non usano sorti, se non quando son dubbi in modo che non sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano secondo la volontà del popolo inchina, ma li quattro primi no, se non quando essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi veggono saper più di loro, ed aver più purgato ingegno; e son tanto docili e buoni, che volentieri cedeno a chi più sa ed imparano da quelli; ma questo è di rado assai.
Li capi principali delle scienze son soggetti al Sapienza, altri che il Metafisico che è esso Sole, che a tutte le scienze comanda, come architetto, ed ha vergogna ignorare cosa alcuna al mondo umano. Sotto a lui sta il Grammatico, il Logico, il Fisico, il Medico, il Politico, l'Economico, il Morale, l'Astronomo, l'Astrologo, il Geometra, il Cosmografo, il Musico, il Prospettivo, l'Aritmetico, il Poeta, l'Oratore, il Pittore, il Scultore. Sotto Amore, sta il Genitario, l'Educatore, il Vestiario, l'Agricola, l'Armentario, il Pastore, il Cicurario, il Gran Coquinario. Sotto Podestà il Stratagemmario, il Ferrario, l'Armario, l'Argentario, il Monetario, l'Ingegnero, Mastro spia, Mastro cavallerizzo, il Gladiatore, l'Artegliero, il Frombolario, il Giustiziero. E tutti questi han li particolari artefici soggetti.
Or qui hai da sapere che ognun è giudicato da quello dell'arte sua; talché ogni capo dell'arte è giudice, e punisce d'esilio, di frusta, di vituperio, di non mangiar in mensa commune, di non andar in chiesa, non parlar alle donne. Ma quando occorre caso ingiurioso, l'omicidio si punisce con morte, ed occhio per occhio, naso per naso si paga la pena della pariglia, quando è caso pensato. Quando è rissa subitanea, si mitiga la sentenza, ma non dal giudice, perché condanna subito secondo la legge, ma dalli tre Principi. E s'appella pure al Metafisico per grazia, non per giustizia, e quello può far la grazia. Non tengono carceri, se non per qualche ribello nemico un torrione. Non si scrive processo, ma in presenza del giudice e del Potestà si dice il pro e il contra; e subito si condanna dal giudice; e poi dal Potestà, se s'appella, il sequente dì si condanna; e poi dal Sole il terzo dì si condanna, o s'aggrazia dopo molti dì con consenso del popolo. E nessuno può morire, se tutto il popolo a man comune non l'uccide; ché boia non hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano, facendo che esso s'elegga la polvere per morir subito. E tutti piangono e pregano Dio, che plachi l'ira sua, dolendosi che sian venuti a resecare un membro infetto dal corpo della republica; e fanno di modo che esso stesso accetti la sentenza, e disputano con lui fin tanto che esso, convinto, dica che la merita; ma quando è cosa contra la libertà o contra Dio, o contra gli offiziali maggiori, senza misericordia si esequisce. Questi soli si puniscono con morte; e quel che more ha da dire tutte le cause perché non deve morire, e li peccati degli altri e dell'offiziali, dicendo quelli meritano peggio; e se vince, lo mandano in esilio e purgano la città con preghiere e sacrifizi ed ammende; ma non però travagliano li nominati.
Li falli di fragilità e d'ignoranza si puniscono solo con vituperi, e con farlo imparare a contenersi, e quell'arte in cui peccò, o altra, e si trattano in modo, che paiono l'un membro dell'altro.
Qui è da sapere, che se un peccatore, senza aspettare accusa, va da sé all'offiziali accusandosi e dimandando ammenda, lo liberano dalla pena dell'occulto peccato e la commutano mentre non fu accusato.
Si guardano assai dalla calunnia per non patir la medesima pena. E perché sempre stanno accompagnati quasi, ci vuole cinque testimoni a convincere, se non si libera col giuramento il reo. Ma se due altre volte è accusato da dui o tre testimoni, al doppio paga le pena.
Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione. E li giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando giudicano, e dicono: "Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi"; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o d'ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande.
Osp. Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza loro.
Gen. Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, ed offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati propri, quanto gli strani in genere, senza nominare gli peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo publicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi in quelli errori, e confessa i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città ed ammaestrarla e difenderla. Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per gli suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l'orazione a Dio che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora.
Di più vi stanno vintiquattro sacerdoti sopra il tempio, li quali a mezzanotte, a mezzodì, la mattina e la sera cantano alcuni salmi a Dio; e l'offizio loro è di guardar le stelle e notare con astrolabi tutti li movimenti loro e gli effetti che producono, onde sanno in che paese che mutazione è stata e ha da essere. E questi dicono l'ora della generazione e li giorni del seminare e raccogliere, e serveno come mezzani tra Dio e gli uomini; e di essi per lo più si fanno li Soli e scriveno gran cose ed investigano scienze. Non vengono a basso, se non per mangiare; con donne non si impacciano, se non qualche volta per medicina del corpo. Va ogni dì Sole in alto e parla con loro di quel che hanno investigato sopra il benefizio della città e di tutte le nazioni del mondo. In tempio a basso sempre ha da esser uno che faccia orazione a Dio, ed ogni ora si muta, come noi facciamo le quarant'ore, e questo si dice continuo sacrifizio.
Dopo mangiare si rendon grazie a Dio con musica, e poi si cantano gesti di eroi cristiani, ebrei, gentili, di tutte nazioni, per spasso e per godere. Si cantano inni d'amore e di sapienza e virtù. Si piglia ognuno quella che più ama, e fanno alcuni balli sotto li chiostri, bellissimi. Le donne portano li capelli lunghi, inghirlandati ed uniti in un groppo in mezzo la testa con una treccia. Gli uomini solo un cerro, un velo e berrettino. Usano cappelli in campagna, in casa berrette bianche o rosse o varie, secondo l'offizio ed arte che fanno, e gli officiali più grandi e pompose.
Tutte le cose loro son quattro principali, cioè quando entra il sole in Ariete, in Cancro, in Libra, il Capricorno; e fanno gran rappresentazioni belle e dotte; ed in ogni congiunzione ed opposizione di luna fanno certe feste. E nelli giorni che fondaro la città e quando ebbero vittoria, fanno il medesimo con musica di voci feminine e con trombe e tamburi ed artiglierie; e li poeti cantano le laudi delli più virtuosi. Ma chi dice bugia in laude è punito; non si può dir poeta chi finge menzogna tra loro; e questa licenza dicono che è ruina del mondo, che toglie il premio alle virtù e lo dona altrui per paura o adulazione.
Non si fa statua a nullo, se non dopo che more; ma, vivendo, si scrive nel libro delli eroi chi ha trovato arti nove o secreti d'importanza, o fatto gran benefizio in guerra o pace al publico.
Non si atterrano li corpi morti, ma si bruggiano per levar la peste e per convertirsi in fuoco, cosa tanto nobile e viva, che vien dal sole ed a lui torna, e per non restar sospetto d'idolatria. Restano pitture solo o statue di grand'uomini, e quelle che mirano le donne formose, che s'applicano all'uso della razza.
L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo orizzontali, e la mattina prima a levante, poi a ponente, poi ad austro, poi a settentrione; la sera al riverso, prima a ponente, poi a levante, poi a settentrione, poi ad austro. E replicano solo un verso, che dimanda corpo sano e mente sana al loro ed a tutte le gente, e beatitudine, e conclude: "come par meglio a Dio." Ma l'orazione attentamente e lunga si fa in cielo; però l'altare è tondo e in croce spartito, per dove entra Sole dopo le quattro repetizioni, e prega mirando in suso. Questo lo fan per gran misterio. Le vesti pontificali son stupende di bellezza e di significato a guisa di quelle d'Aron.
Distinguono li tempi secondo l'anno tropico, non sidereo, ma sempre notano quanto anticipa questo di tempo. Credono che il sole cali a basso, e però facendo più stretti circoli arriva alli tropici ed equinozi che l'anno passato; o vero pare arrivare, ché l'occhio, vedendolo più basso in obliquo, lo vede prima giungere ed obliquare. Misurano li mesi con la luna e l'anno con il sole; e però non accordano questa con quello fino alli diciannove anni, quando pur il capo del Drago finisce il suo corso; del che han fatto nova astronomia. Laudano Tolomeo ed ammirano Copernico, benché Aristarco e Filolao prima di lui; ma dicono che l'uno fa il conto con le pietre, l'altro con le fave, ma nullo con le stesse cose contate, e pagano il mondo con li scudi di conto, non d'oro. Però essi cercano assai sottilmente questo negozio, perché importa a saper la fabbrica del mondo, e se perirà e quando, e la sostanza delle stelle e chi ci sta dentro a loro. E credono esser vero quel che disse Cristo delli segni delle stelle, sole e luna, li quali alli stolti non pareno veri, ma li venirà, come ladro di notte, il fin delle cose. Onde aspettano la renovazione del secolo, e forsi il fine. Dicono che è gran dubbio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o delle rovine d'altri mondi o del caos; ma par verosimile che sia fatto, anzi certo. Son nemici d'Aristotile, l'appellano pedante.
Onorano il sole e le stelle come cose viventi e statue di Dio e tempi celesti; ma non l'adorano, e più onorano il sole. Nulla creatura adorano di latria, altro che Dio, e però a lui serveno solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna e volto di Dio, da cui viene la luce e 'l calore ed ogni altra cosa. Però l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio nel sole e nelle stelle, com'in altari, e nel cielo, come tempio; e chiamano gli angeli buoni per intercessori, che stanno nelle stelle, vive case loro, e che le bellezze sue Dio più le mostrò in cielo e nel sole, come suo trofeo e statua.
Negano gli eccentrici ed epicicli di Tolomeo e di Copernico; affermano che sia un solo cielo, e che li pianeti da sé si movano ed alzino, quando al sole si congiungeno per la luce maggiore che riceveno; e abbassino nelle quadrature e nell'opposizioni per avvicinarsi a lui. E la luna in congiunzione ed opposizione s'alza per stare sotto il sole e ricever la luce in questi siti assai che la sublima. E per questo le stelle, benché vadano sempre di levante in ponente, nell'alzare paion gir a dietro; e così si veggono, perché il stellato cielo corre velocemente in ventiquattr'ore, ed esse ogni dì, camminando meno, restano più a dietro; talché, sendo passate dal cielo, paion tornare. E quando son nell'opposito del sole, piglian breve circolo per la bassezza, ché si inchinano a pigliar luce da lui, e però caminano inante assai; e quando vanno a par delle stelle fisse, si dicon stazionari; quando più veloci, retrogradi, secondo li volgari astrologi; e quando meno, diretti. Ma la luna, tardissima e in congiunzione ed opposizione, non par tornare, ma solo avanzare inanti poco, perché il primo cielo non è tanto più di lei veloce allora c'ha lume assai o di sopra o di sotto, onde non par retrograda, ma solo tarda indietro e veloce inanti. E così si vede che né epicicli, né eccentrici ci voleno a farli alzare e retrocedere. Vero è ch'in alcune parti del mondo han consenso con le cose sopracelesti, e si fermano, e però diconsi alzar in eccentrico.
Del sole poi rendono la causa fisica, che nel settentrione s'alza per contrastar la terra, dove essa prese forza, mentre esso scorse nel merigge, quando fu il principio del mondo. Talché in settembre bisogna dire che sia stato fatto il mondo, come gli Ebrei e Caldei antiqui, non li moderni, escogitaro: e così, alzando per rifar il suo, sta più giorni in settentrione che in austro, e par salire in eccentrico.
Tengono dui princìpi fisici: il sole padre e la terra madre; e l'aere essere cielo impuro, e 'l fuoco venir dal sole, e 'l mar essere sudore della terra liquefatta dal sole e unir l'aere con la terra, come il sangue lo spirito col corpo umano; e 'l mondo essere animal grande, e noi star intra lui, come i vermi nel nostro corpo; e però noi appartenemo alla providenza di Dio, e non del mondo e delle stelle, perché rispetto a loro siamo casuali; ma rispetto a Dio, di cui essi son stromenti, siamo antevisti e provisti; però a Dio solo avemo l'obligo di signore, di padre e di tutto.
Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni, morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi delle pene e premi non l'han tanto per certi; ma assai ragionevole pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi di sapere se queste sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene tra gli uomini, ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né dentro né fuori del mondo è, e Dio, infinito ente, non comporta il niente seco.
Fanno metafisici princìpi delle cose l'ente, ch'è Dio, e 'l niente, ch'è il mancamento dell'essere, come condizione senza cui nulla si fa: perché non se faria si fosse, dunque non era quel che si fa. Dal correre al niente nasce il male e 'l peccato; però il peccatore si dice annichilarsi e il peccato ha causa deficiente, non efficiente. La deficienza è il medesimo che mancanza, cioè o di potere o di sapere o di volere, e in questo ultimo metteno il peccato. Perché chi può e sa ben fare, deve volere, perché la volontà nasce da loro, ma non e contra. Qui ti stupisci ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo ch'è somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, e d'essi entrambi, sommo Amore. Ma non conosceno le persone distinte e nominate al modo nostro, perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in Dio ci è processione e relazione di sé a sé; e così tutte cose compongono di possanza, sapienza ed amore, in quanto han l'essere; d'impotenza, insipienza e disamore, in quanto pendeno dal non essere. E per quelle meritano, per queste peccano, o di peccato di natura nelli primi, o d'arte in tutti tre. E così la natura particolare pecca nel far mostri per impotenza o ignoranza. Ma tutte queste cose son intese da Dio potentissimo, sapientissimo ed ottimo, onde in lui nullo ente pecca e fuor di lui sì; ma non si va fuor di lui, se non per noi, non per lui, perché in noi la deficienza è, in lui l'efficienza. Onde il peccare è atto di Dio, in quanto ha essere ed efficienza; ma in quanto ha non essere e deficienza, nel che consiste la quidità d'esso peccare è in noi, ch'al non essere e disordine decliniamo.
Osp. Oh, come sono arguti!
Gen. S'io avesse tenuto a mente, e non avesse pressa e paura, io ti sfondacaria gran cose; ma perdo la nave, se non mi parto.
Osp. Per tua fé, dimmi questo solo: che dicono del peccato d'Adamo?
Gen. Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono; benché chiamano infelicità quella loro, perché è annichilirsi il mostrarsi quel che non sei, cioè d'esser re, d'essere buono, d'esser savio, e non esser in verità. Dal che argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane, e stavano per dire con Platone, che li cieli prima giravano dall'occaso, là dove mo è il levante, e poi variano. Dissero anco che può essere che governi qualche inferior Virtù, e la prima lo permetta, ma questo pur stimano pazzia. Più pazzia è dire che prima resse Saturno bene, e poi Giove, e poi gli altri pianeti; ma confessano che l'età del mondo succedono secondo l'ordine di pianeti, e credeno che la mutanza degli assidi ogni mille anni o mille seicento variano il mondo. E questa nostra età par che sia di Mercurio, si bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale.
Finalmente dicono ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto scompiglio, e credono che dai padri a' figli corre il male più della pena che della colpa. Ma dai figli al padre torna la colpa, perché trascuraro la generazione, la fecero fuor di tempo e luoco, in peccato e senza scelta di genitori, e trascuraro l'educazione, ché mal l'indottrinaro. Però essi attendeno assai a questi due punti, generazione ed educazione; e dicono che la pena e la colpa redonda alla città, tanto de' figli, quanto de' padri; però non si vedeno bene e par che il mondo si regga a caso. Ma chi mira la costruzione del mondo, l'anatomia dell'uomo (come essi fan de' condannati a morte; anatomizzandoli) e delle bestie e delle piante, e gli usi delle parti e particelle loro, è forzato a confessare la providenza di Dio ad alta voce. Però si deve l'uomo molto dedicare alla vera religione, ed onorar l'autor suo; e questo non può ben fare chi non investiga l'opere sue e non attende a ben filosofare, e chi non osserva le sue leggi sante: "Quel che non vuoi per te non far ad altri, e quel che vuoi per te fa' tu il medesimo." Dal che ne segue, che si dai figli e dalle genti noi onor cercamo, alli quali poco damo, assai più dovemo noi a Dio, da cui tutto ricevemo, in tutto siamo e per tutto. Sia sempre lodato.
Osp. Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. E che però gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo trovatore fu il Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran testimoni della verità, eletti da Dio. E vedo che noi non sappiamo quel che facemo, ma siamo instromenti di Dio. Quelli vanno per avarizia di danari cercando nuovi paesi, ma Dio intende più alto fine. Il sole cerca strugger la terra, non far piante ed uomini; ma Dio si serve di loro in questo. Sia laudato.
Gen. Oh, se sapessi che cosa dicono per astrologia e per l'istessi profeti nostri ed ebrei e d'altre genti di questo secolo nostro, c'ha più storia in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila; e più libri si fecero in questi cento che in cinque mila: e dell'invenzioni stupende della calamita e stampe ed archibugi, gran segni dell'union del mondo; e come, stando nella triplicità quarta l'asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni magne si faceano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna e Marte, che in quel segno valeno al navigar novo, novi regni e nove armi. Ma entrando l'asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio in Sagittario, e di Marte in Vergine, e le congiunzioni magne tornando alla triplicità prima dopo l'apparizion della stella nova in Cassiopea, sarà grande monarchia nova, e di leggi riforma e d'arti, e profeti e rinovazione. E dicono che a' cristiani questo apporterà grand'utile; ma prima si svelle e monda, poi s'edifica e pianta.
Abbi pazienza, che ho da fare.
Questo sappi, c'han trovato l'arte del volare, che sola manca al mondo, ed aspettano un occhiale di veder le stelle occulte ed un oricchiale d'udir l'armonia delli moti di pianeti.
Osp. Oh! oh! oh! mi piace. Ma Cancro è segno feminile di Venere e di Luna, e che può far di bene?
Gen. Essi dicono che la femina apporta fecondità di cose in cielo, e virtù manco gagliarda rispetto a noi aver dominio. Onde si vede che in questo secolo regnaro le donne, come l'Amazoni tra la Nubbia e 'l Monopotapa, e tra gli Europei la Rossa in Turchia, la Bona in Polonia, Maria in Ongheria, Elisabetta in Inghilterra, Catarina in Francia, Margherita in Fiandra, la Bianca in Toscana, Maria in Scozia, Camilla in Roma ed Isabella in Spagna, inventrice del mondo novo. E 'l poeta di questo secolo incominciò dalle donne dicendo: "Le donne, i cavalier, l'armi e l'amori." E tutti son maledici li poeti d'ogge per Marte; e per Venere e per la Luna parlano di bardascismo e puttanesmo. E gli uomini si effemminano e si chiamano "Vossignoria"; ed in Africa, dove regna Cancro, oltre l'Amazoni, ci sono in Fez e Marocco li bordelli degli effeminati publici, e mille sporchezze.
Non però restò, per esser tropico segno Cancro ed esaltazion di Giove ed apogìo del Sole e di Marte trigono, sì come per la Luna e Marte e Venere ha fatto la nova invenzion del mondo e la stupenda maniera di girar tutta la terra e l'imperio donnesco, e per Mercurio e Marte e Giove le stampe ed archibugi, di non far anche de leggi gran mutamento. Ché del mondo nono e in tutte le marine d'Africa e Asia australi è entrato il cristianesimo per Giove e Sole, ed in Africa la legge del Seriffo per la Luna, e per Marte in Persia quella d'Alle, renovata dal Sofì, con mutarsi imperio in tutte quelle parti ed in Tartaria. Ma in Germania, Francia ed Inghilterra entrò l'eresia per esser esse a Marte ed alla Luna inchinate; e Spagna per Giove ed Italia per il Sole, a cui sottostanno, per Sagittario e Leone, segni loro, restaro nella bellezza della legge cristiana pura. E quante cose saran più di mo inanzi, e quanto imparai da questi savi circa la mutazion dell'assidi de' pianeti e dell'eccentricità e solstizi ed equinozi ed obliquitati, e poli variati e confuse figure nello spazio immenso; e del simbolo c'hanno le cose nostrali con quelle di fuori del mondo; e quanto seque di mutamento dopo la congiunzion magna e l'eclissi, che sequeno dopo la congiunzion magna in Ariete e Libra, segni equinoziali, con la renovazione dell'anomalie, faran cose stupende in confirmar il decreto della congiunzion magna e mutar tutto il mondo e rinovarlo!
Ma per tua fé, non mi trattener più, c'ho da fare. Sai come sto di pressa. Un'altra volta.
Questo si sappi, che essi tengon la libertà dell'arbitrio. E dicono che, se in quaranta ore di tormento un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso soavemente fan mutanza, chi segue più il senso che la ragione è soggetto a loro. Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò vapori infetti, da' Gesuini nostri che furo al suo tempo cavò odorose esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò il cristianesimo in Messico nel medesimo tempo.
Ma di quanto è per sequire presto nel mondo io te 'l dirò un'altra fiata.
L'eresia è opera sensuale, come dice S. Paolo, e le stelle nelli sensuali inchinano a quella, nelli razionali alla vera legge santa della prima Raggione, sempre laudanda. Amen.
Osp. Aspetta, aspetta.
Gen. Non posso, non posso.
FINE
Lo spettro del Gabon
Uno spettro si aggira per l’Italia: quello del Gabon. Da giorni e giorni, infatti, i mazzieri del conflitto di interessi, gli adoratori a tariffa del piccolo Cesare, ripetono ovunque sia possibile, il seguente ritornello: ”Avete letto l’ultimo rapporto internazionale sullo stato della giustizia civile? Siamo agli ultimi posti, siamo insieme al Gabon”. E qui già immaginiamo il brivido che avrà percorso le verdi schiene padane, solo nel sentirsi accostate ad un paese dell’Africa nera.
In realtà quel rapporto non ci condanna solo per la lentezza della giustizia civile, ma anche e soprattutto per i livelli di corruzione, per le presenze mafiose, per le minacce ai magistrati, per le continue interferenze della politica sulla autonomia del potere giudiziario,ma di questi particolari non vi è traccia nelle lamentazioni berlusconiane, puntualmente riportate dai giornali di famiglia ed anche dai tg del polo Raiset, salvo pochissime eccezioni.
La cosa più clamorosa, tuttavia, è che da questi dati si faccia discendere la necessità di approvare il dolo Alfano e di mettere sotto controllo il pubblico ministero, e che c’azzecca per fare il verso ad Antonio Di Pietro? Se davvero si vuole affrontare il tema della giustizia civile e la lentezza del processo, allora bisogna mettere mano al portafoglio, stanziare i fondi per le tecnologie e per il personale, rafforzare gli uffici, potenziare le attività di prevenzione e di investigazione, premiare gli onesti e punire i furbi e i ladri.
In realtà il riferimento al Gabon e la citazione del rapporto internazionale fa parte del solito kit di propaganda,serve alla iterazione di una bugia, affinché diventi verità, anzi la verità, tanto è vero che si evoca lo spettro del Gabon, ma si nasconde quello della Russia, oppure del Kenia, del Marocco, della Turchia, per fare qualche esempio. Ci riferiamo, per essere più chiari, ad un altro rapporto internazionale, uscito in questi giorni, e che non ha trovato altrettanta fortuna, soprattutto in tv, quello della organizzazione francese ”Repoter sans Frontier”, che, nel suo rapporto annuale, ha nuovamente assegnato la maglia nera all’Italia in materia di libertà di informazione, mettendoci, appunto, assieme alla Turchia, al Kenia, alla Russia dell’amico Putin.
Per Reporter l’Italia è segnata dal conflitto di interessi, dalla intolleranza, dalle liste di proscrizione alla Rai, dalle annunciate leggi bavaglio, dalle minacce nei confronti dei cronisti con particolare riferimento a quanti operano nelle zone dominate dalle mafie. Eppure di questo rapporto non si parla, l’accostamento alla Turchia, al Kenia, alla Russia non suscita emozioni. In questo caso la destra diventa cosmopolita, inclusiva, non fatica a convivere con rossi, neri, gialli, cristiani, islamici, senza dio. Tutto fa brodo quando è in ballo la cassa del capo. Dalla lettura di questo rapporto non fanno discendere la necessità e l’urgenza di tornare in Europa, di abbandonare la maglia nera della vergogna, di ritirare le leggi e le proposte di legge che tentano di ammanettare le idee e le opinioni sgradite….
Un grazie, infine, a quei sei milioni di cittadine e di cittadini che hanno scelto, per l’ennesima volta, di seguire Anno Zero, di manifestare anche così, anche solo con il telecomando, il loro amore per la libertà di espressione. Il direttore generale Masi ha annunciato la sua intenzione di sospendere Michele Santoro per 10 giorni, adesso potrebbe prendere in considerazione l’idea di sospendere per 10 giorni anche tutti quelli che continuano e a guardare Santoro e tutta la sua squadra. E , così facendo, hanno persino decretato il primato di “ Anno Zero” nella serata in tv, anzi questo avrà indispettito ancora di più Silvio e i suoi vassalli, lesi, a loro dire nell’onore politico e ancor più lesi negli interessi materiali, unico vero dio di riferimento per la combriccola.
Sarà il caso che qualcuno avverta il Gabon di quanto sta avvenendo in Italia, forse saranno loro a chiedere i danni per l’osceno accostamento.
P:S: Il presidente Napolitano, con il consueto garbo istituzionale, ha fatto sapere che lo scudo e forse anche la lancia e le frecce, interessano solo a Berlusconi. Il presidente del Consiglio non ha gradito. A quando un dossier contro Napolitano?
venerdì 22 ottobre 2010
Discorso di Pericle agli Ateniesi
Al termine del primo anno della guerra del Peloponneso (che vedrà contrapposte Atene e Sparta, con le rispettive coalizioni, dal 431 al 404 a.C.) Pericle, secondo la tradizione ateniese, pronuncia un epitaffio per commemorare i caduti ateniesi. Da questa commemorazione, giunta sino a noi grazie a Tucidide, emerge l'ethos della pòlis di Atene. Se ne riportano di seguito i passaggi più significativi.
"Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo
viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro
dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di
altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una
ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non
siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro
prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia
siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle
proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici
affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato
anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo
proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che
risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è
buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo,
ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una
politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della
democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà
sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni
ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso,
la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la
nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così."
Tucidide, La guerra del Peloponneso
giovedì 21 ottobre 2010
TUTTE LE BUGIE DI BERLUSCONI
"Io dico sempre cose sincere, anche perché non
ho memoria e dimenticherei le bugie. Come
ci si può fidare di chi usa la menzogna come mezzo
della lotta politica? La gente deve fidarsi solo
di chi dice la verità" (Silvio Berlusconi, 2-3-94)
Indro Montanelli, il più grande giornalista italiano scomparso nel 2001, lo
conosceva bene, avendolo avuto per 15 anni come editore. E diceva: "Silvio
Berlusconi è un mentitore professionale: mente a tutti, sempre anche a se
stesso, al punto da credere alle sue stesse menzogne". Una pulsione
incontenibile e irrefrenabile, quella del presidente del Consiglio italiano verso
la menzogna. Persino in Tribunale. Infatti, il 22 ottobre 1990, la Corte
d’Appello di Venezia l’ha riconosciuto colpevole di aver mentito ai giudici
sotto giuramento: "Il Berlusconi - si legge nella sentenza - deponendo
avanti il Tribunale di Verona, ha dichiarato il falso, realizzando gli estremi
obiettivi e soggettivi del contestato delitto": cioè la falsa testimonianza, a
proposito della sua iscrizione alla loggia massonica P2. Il reato, accertato, fu
dichiarato estinto grazie a una provvidenziale amnistia approvata nel 1989.
Negli Stati Uniti la menzogna (specie se giurata dinanzi a un giudice)
comporta l’immediato impeachment: il colpevole lascia la Casa Bianca. In
Italia, entra a Palazzo Chigi. E, naturalmente, continua a mentire. Come
prima e più di prima. Quello che segue è un piccolo catalogo ragionato delle
bugie berlusconiane.
BERLUSCONI GIOVANE
"La mia carriera canora (come cantante sulle navi da crociera, ndr) è
cominciata con una tournée in Libano" (7-6-1989). Ma secondo Giuseppe
Fiori, suo biografo non autorizzato, Berlusconi non è mai stato in Libano.
"Al ’Gardenia’ (un locale notturno, ndr) di Milano, come poi sarebbe
avvenuto a Parigi, dopo aver cantato mi buttavo in pista per ballare con le
bionde" (ibidem). Ma Berlusconi non ha mai suonato a Parigi.
"Ho studiato due anni a Parigi, alla Sorbona, e per mantenermi dovevo
suonare e cantare nei locali della capitale" (8-7-1989). Ma Berlusconi non ha
mai studiato alla Sorbona: semmai alla Statale di Milano.
"A Parigi facevo il canottaggio ed ero campione italiano studentesco con il
Cus di Milano" (luglio 1989). Parigi a parte, esistono seri dubbi sui titoli
sportivi conquistati dal Cavaliere in canoa.
BERLUSCONI INCAPPUCCIATO
"Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo comunque
che è di poco anteriore allo scandalo. Non ho mai pagato una quota di
iscrizione, né mi è stata richiesta" (27-9-1988, al Tribunale di Verona).
Berlusconi s’iscrisse alla P2 nei primi mesi del 1978 e pagò regolarmente la
quota di iscrizione di 100 mila lire. Di qui la falsa testimonianza.
"Basta con questa storia della P2: l’ho già detto, ricevetti la tessera per
posta e non pagai neppure la quota d’iscrizione" (10-3-94). Ma, come ha
testimoniato anche Licio Gelli, gran maestro venerabile della loggia P2,
"Berlusconi ha fatto la normale iniziazione alla loggia P2".
BERLUSCONI IMPRENDITORE
"Il signor Berlusconi ha lavorato, ha rischiato, ha pagato le tasse e non ha
mai chiesto alcuna lira di contributi allo Stato" (22-5-95). Ma la Fininvest è
sotto processo per evasione fiscali di centinaia di miliardi; e ha ricevuto
contributi pubblici, tanto per l’editoria (5 miliardi e rotti all’anno per Il
Giornale, intestato al fratello Paolo, altrettanti per Il Foglio intestato alla
moglie Veronica), quanto per la cassa integrazione alla Standa e alla
Mondadori.
"La legge Mammì ci ha tolto la metà del fatturato" (La Stampa, 24-5-95).
All’epoca della legge Mammì (che nell’agosto 1990 ha regolamentato il
sistema radiotelevisivo italiano), le dimensioni del gruppo erano
pressappoco le stesse del ’95.
"La Mammì ci ha costretti a vendere i quotidiani e ci ha impedito di tenere le
pay tv" (La Stampa, 24-5-95). I quotidiani erano uno solo: il Giornale
(subito passato al fratello Paolo); le pay tv non esistevano ancora, visto che
Tele+ è nata il 20 ottobre ’90.
"E’ una falsità, una cosa senza senso dire che dietro il signor Berlusconi ci
sia Craxi. Non devo nulla a Craxi e al cosiddetto Caf, e non rinnego nulla di
ciò che ho fatto" (a Mixer, Rai2, 21-2-94). Ma era stato lo stesso Berlusconi
a confessare, il 13-9-93, in un raro lampo di sincerità, di aver licenziato
l’anchor man Gianfranco Funari su ordine di Craxi ("Non è un mistero -
aveva ammesso il Cavaliere - che Berlusconi è sempre stato schiavo del
Principe, e in più di un’occasione ho dovuto tenerne conto. Un anno fa, se
ricordate bene, io stavo aspettando le concessioni televisive...").
BERLUSCONI CANDIDATO
"Tutti mi chiedono di candidarmi. Ma io so perfettamente quello che posso
fare. Se io facessi la scelta politica dovrei abbandonare le televisioni e
cambiare completamente mestiere. Un partito di Berlusconi non c’è stato,
nè ci sarà mai" (13-9-93). Due mesi dopo nasce ufficialmente Forza Italia e
Berlusconi si candida alla presidenza del Consiglio.
"Se fonderò un partito? Ho sempre dichiarato il contrario, sarà la ventesima
volta che lo ripeto. Lo scrive chi ha interesse a mettermi contro gli attuali
protagonisti della politica. E perciò farà finta anche stavolta di non leggere
la mia smentita, per cui mi toccherà di ripeterla per la ventunesima volta e
chissà per quante altre volte ancora" (Epoca, 23-10-93). Come sopra.
"Il mio presunto partito esiste soltanto sulle pagine di alcuni giornali" (alla
commissione Bilancio della Camera, 26-10-93). Come sopra.
BERLUSCONI PREMIER/2
"Il nostro futuro ministro della Giustizia è la dottoressa Parenti" (6-2-94).
Invece sarà Alfredo Biondi.
"Credo che al ministero dell’Interno ci sia bisogno di una persona esperta...
di un nonno" (La Stampa, 20-4-94). Infatti offre il ministero al pm Antonio
Di Pietro (44 anni), ma questi rifiuta, e allora Berlusconi nomina il leghista
Roberto Maroni (39 anni).
"Siamo orientati ad un governo molto snello, magari con meno
sottosegretari: sarebbe una bella rottura con il passato" (12-4-94). I
sottosegretari saranno 39, rispettivamente 3 e 4 in più rispetto ai precedenti
governi Ciampi e Amato.
"Il criterio per l’assegnazione dei ministeri sarà assolutamente meritocratico,
nessuna spartizione delle poltrone" (19-4-94). Infatti, per esempio, la
latinista Adriana Poli Bortone andrà alle Risorse Agricole.
"Questo governo è schierato dalla parte dell’opera di moralizzazione della
vita pubblica intrapresa da valenti magistrati. No ai colpi di spugna. Da
questo governo non verrà mai messa in discussione l’indipendenza dei
magistrati" (al Senato, 16-5-94). In 7 mesi di vita, il governo Berlusconi
metterà quotidianamente in discussione l’indipendenza dei giudici e
approverà in tutta fretta il "colpo di spugna" di Biondi, detto anche "decreto
salvaladri", che vieta l’arresto per i reati di corruzione, concussione,
finanziamento illecito e falso in bilancio.
"Falcone e Borsellino hanno dato la vita contro la mafia. E’ nel loro nome
che il governo si sente vincolato a proseguirne l’opera. Sarebbe suicida
abbassare la guardia contro la criminalità. Bisogna invece dotare di
strumenti migliori la polizia e la magistratura" (al Senato il 16 e alla Camera
il 18-5-94). Il primo governo Berlusconi e la sua maggioranza tenteranno di
smantellare la legislazione voluta (e pagata con il sangue) da Falcone e
Borsellino: carcere duro per i boss (41-bis), legge sui pentiti, supercarceri
nelle isole e così via.
"Vi assicuro che non ci sarà il condono edilizio" (30-5-94). "Nel Consiglio dei
ministri o altrove non ho mai pronunciato la parola ’condono’. Sono i giornali
che vogliono farci apparire come gli altri governi" (23-6-94). Un mese dopo
il suo governo varerà il condono edilizio, e subito dopo quello fiscale.
"Alla Rai non sposterò nemmeno una pianta" (29-3-94). "Mai mi occuperò di
questioni televisive, per non dare l’impressione di voler favorire i miei affari,
anzi starò più dalla parte della Rai che della Fininvest" (30-5-94). Pochi
giorni dopo, Berlusconi destituisce anzitempo l’intero consiglio
d’amministrazione della Rai, per nominarne uno nuovo di sua fiducia, con
appositi direttori di rete e tg. E proclama: "E’ certamente anomalo che in
uno Stato democratico esista un servizio pubblico televisivo contro la
maggioranza che ha espresso il governo del Paese. Questa Rai non piace
alla gente: me l’ha detto un sondaggio. Il governo se ne occuperà tra breve"
(7-6-94).
"Le nonne, le mamme e le zie d’Italia stiano tranquille: non sarà toccata una
lira delle pensioni attuali" (10-9-94). Poco dopo Berlusconi tenta una riforma
che taglia drasticamente le pensioni, poi bloccata da una manifestazione
sindacale con oltre un milione di persone e dalla dissociazione del suo
ministro del Lavoro Clemente Mastella, nonché del partito alleato Lega Nord
che lascia il governo e lo rovescia.
BERLUSCONI OPPOSITORE
"La par condicio ha danneggiato gravemente il Polo delle libertà" (20-4-95).
L’Osservatorio dell’università di Pavia sulle televisioni dimostra,
ininterrottamente dal 1995, che i politici più presenti sulle reti televisive
sono Berlusconi e i suoi uomini.
"Pochi ricordano che la Thatcher ha privatizzato qualunque cosa, tranne che
la British Telecom" (Liberal, 4-4-95). Ma è vero il contrario. Scrive infatti
Margaret Thatcher nella sua autobiografia ("Gli anni di Downing Street",
Sperling & Kupfer, 1994, pag.577): "British Telecom fu il primo servizio
pubblico ad essere privatizzato. Più di qualsiasi altra, la sua vendita pose le
basi del capitalismo ad azionariato popolare in Gran Bretagna... Fui più che
soddisfatta quando nel novembre 1984 British Telecom fu finalmente
privatizzata".
"Non so se avrò voglia di tornare a Palazzo Chigi. Troppo faticoso. La
presidenza del Consiglio non la reputo essenziale, non ho questa ambizione
personale" (10-2-95). "Non mi ritengo indispensabile. Sono assolutamente
favorevole ad un tecnico a Palazzo Chigi, io potrei restare leader del Polo in
cabina di regia" (13-4-95). "Adesso che si torna al teatrino della politica,
diventa inutile che io resti in pista. Meglio tornare a curare le mie aziende"
(31-5-95). "Il ruolo di regista delle riforme, come leader del Polo in
Parlamento, è un ruolo che mi attira molto di più di quello di presidente del
Consiglio" (10-10-95). Silvio Berlusconi avrà sempre un solo candidato per
Palazzo Chigi: Silvio Berlusconi.
BERLUSCONI EDITORE
"Noi non abbiamo giornali- partito. Noi non teorizziamo né tantomeno
pratichiamo l’informazione come strumento di ricatto politico. I nostri sono
eccellenti prodotti editoriali, non fabbriche di consenso o, quel che è peggio,
di calunnie, di derisione, di disprezzo Non ho mai usato né mai userò i miei
mezzi di comunicazione per scatenare campagne di aggressione contro un
concorrente, né diffamare chi non è d’accordo con me. Lascio questi metodi
ad altri" (Epoca, 20-10-93). Chiunque conosca giornali e tv berlusconiani sa
che, almeno dopo l’entrata in politica di Berlusconi, sono stati trasformati in
formidabili strumenti di attacco, aggressione e spesso anche di diffamazione
per i magistrati e gli avversari politici del loro proprietario.
BERLUSCONI RICANDIDATO
"Dal 1995, passata all’opposizione dopo il golpe politico-giudiziario, mentre
fischiavano le pallottole delle procure politicizzate, Forza Italia " (da "Una
storia italiana", l’autobiografia illustrata di Berlusconi inviata in 20 milioni di
copie a tutte le famiglie italiane nell’aprile 2001, in piena campagna
elettorale). Forza Italia passò all’opposizione perché, il 21 dicembre ’94,
Berlusconi salì al Quirinale e si dimise da presidente del Consiglio: la Lega
Nord gli aveva revocato l’appoggio, votando mozioni di sfiducia insieme al
Ppi di Rocco Buttiglione e al Pds di Massimo D’Alema. Le procure non
c’entrano nulla.
"Io non ho nulla a che vedere con All Iberian e non possiedo società offshore
all’estero" (Silvio Berlusconi, 15-3-2000). La Cassazione ha già
accertato definitivamente che All Iberian è interamente controllata dalla
Fininvest. Tant’è che i suoi conti esteri venivano aperti dal tesoriere centrale
del gruppo Berlusconi, Giuseppino Scabini. All Iberian è una società offshore
con sede all’estero (isole del Canale), come le altre 63 scoperte dal
pool di Milano e confermate dalla società di revisione internazionale Kpmg.
"Le nostre holding erano intestate ai nostri consulenti perché si faceva così,
era tutto normale: le trovavamo già pronte negli studi professionali
specializzati" (26-4-2001). Le 34 holding "Italiana 1,2,3,4 eccetera" che
stanno dietro alla Fininvest sin dalla fine degli anni 70 e le altre società della
galassia berlusconiana nascono quasi tutte senza il nome di Berlusconi, ma
intestate a prestanome: una cinquantina fra parenti, amici, casalinghe
baresi, disoccupati calabresi, elettricisti, malati terminali colpiti da ictus,
persino un cecoslovacco nato nel 1887. Tutto normale?
"Nessun mistero sulle origini delle mie fortune: ho cominciato con la
liquidazione di mio padre: 30 milioni" (26-4-2001). Poi, però, fra il 1978 e il
1983 Berlusconi si ritrovò in tasca 113 miliardi (degli anni 70, pari ad
almeno 250 milioni di euro odierni). In parte giunti in contanti. Sulla
provenienza di quel fiume di denaro, Berlusconi non ha mai voluto spiegare
nulla. Nemmeno quando, nel novembre 2002, il Tribunale di Palermo che
sta processando il suo braccio destro Marcello Dell’Utri (parlamentare
europeo e italiano, già condannato per false fatture e frode fiscale e
imputato per mafia, calunnia ed estorsione), si è recato in trasferta a
Palazzo Chigi per interrogarlo. In quell’occasione, alle domande sulle origini
di quei quattrini e sulle ragioni che lo indussero a ospitare in casa sua per
due anni un boss mafioso del calibro di Vittorio Mangano, con mansioni di
"stalliere" o di "fattore", il premier ha Berlusconi ha risposto: "Mi avvalgo
della facoltà di non rispondere". E i giudici sono ritornati a Palermo a mani
vuote.
BERLUSCONI PREMIER/2
"Meno tasse per tutti" (slogan elettorale di Berlusconi, maggio 2001). Le
tasse degli italiani resteranno le stesse, anzi aumenteranno per l’incremento
sostanzioso dei tributi regionali e comunali, in conseguenza dei tagli ai
trasferimenti governativi a comuni e regioni. Il 13 novembre 2001, in visita
a Granada (Sagna), Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Giulio
Tremonti comunicano che "i conti pubblici non sono ancora a posto", dunque
di ridurre le tasse non se ne parla. Così come della riforma delle pensioni,
promessa in campagna elettorale alla Confindustria. Che subito protesta.
"Non ho mai detto che la civiltà occidentale è superiore all’Islam. E’ colpa di
una sinistra irresponsabile che diffonde notizie false sul mio conto" (7-9-
2001). In realtà Berlusconi, soltanto il giorno prima, ha dichiarato
testualmente in una conferenza stampa dalla Germania: "Noi dobbiamo
essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà, che ha dato luogo al
benessere e al rispetto dei diritti umani e religiosi. Cosa che non c’è nei
paesi dell’Islam... Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà, quella islamica
e quella nostra sullo stesso piano La libertà non è un patrimonio della
civiltà islamica La nostra civiltà deve estendere a chi è rimasto indietro di
almeno 1400 anni nella storia i benefici e le conquiste che l’Occidente
conosce C’è una singolare coincidenza fra gli islamici e gli anti-global nella
loro opposizione all’Occidente". Poi l’incidente diplomatico internazionale, le
proteste della Lega Araba ("posizioni razziste"), l’imbarazzo dell’Occidente
impegnato nel tentativo di coinvolgere nella lotta al terrorismo
fondamentalista delle Due Torri i paesi islamici moderati. Così il Cavaliere è
costretto alla smentita, cioè all’ennesima bugia.
"Ho fatto un’esposizione sommaria della legge finanziaria e ho trovato
un’ottima accoglienza sia da Prodi sia dal commissario Pedro Solbes" (10-
10-2001). Così Berlusconi al termine di un incontro ufficiale a Bruxelles con
il presidente Romano Prodi e gli altri membri della Commissione europea.
Senonché Prodi cade dalle nuvole: "Non ne abbiamo neanche parlato".
Anche Solbes lo smentisce: "Non ho espresso alcun giudizio sulla finanziaria
italiana, la valuterò insieme al patto di stabilità". Berlusconi è costretto alla
retromarcia: "Io ho illustrato l’azione del mio governo, Prodi e Solbes mi
hanno ascoltato in silenzio". Poi, in conferenza stampa, se la prende con il
"club della menzogna della sinistra" che gli attribuirebbe frasi mai dette.
"La tv pubblica è interamente nelle mani della sinistra, e anche la tv privata
si sbilancia a sinistra" (30-1-2002, a Le Figaro). Appena tornato al governo,
Berlusconi, che già detiene il monopolio assoluto della televisione
commerciale (Canale 5, Italia 1, Rete 4), nomina suoi uomini al vertice delle
tre reti pubbliche Rai (presidente Antonio Baldassarre, direttore generale
Agostino Saccà). Costoro allontanano dal video i due giornalisti più famosi
della Rai, sgraditi al premier - Enzo Biagi e Michele Santoro - nonché il
comico Daniele Luttazzi, anche lui inviso al Cavaliere. Poi, quando il primo
consiglio di amministrazione si dimette agli inizi del 2003, Berlusconi
riunisce gli alleati in casa propria per decidere i nuovi consiglieri, facendo
infuriare addirittura i presidenti delle due Camere, che rifiutano di ratificare
le nomine. Alla fine, viene creato un nuovo Cda Rai formato da 4 esponenti
del centro-destra e uno solo del centro-sinistra. Anche il direttore generale,
amico di Berlusconi e del fratello Paolo, è di stretta obbedienza governativa.
"Comprare Alessandro Nesta (difensore della Lazio e della Nazionale, ndr)
per il Milan? Sono cose che non hanno più nulla di economico, di morale. Nel
calcio abbiamo sbagliato tutti, ora basta" (23-8-2002). L’indomani il Milan di
Berlusconi annuncia l’acquisto di Nesta, avvenuto da almeno una settimana.
"Non capisco tutta questa fretta per la legge Cirami sul legittimo sospetto
(che gli consente di spostare i suoi processi da Milano a Brescia, ndr)" (31-
7-2002). "La legge sul legittimo sospetto è una priorità per il governo" (30-
8-2002).
"E se in Irak non ci fossero più armi di distruzione di massa? Come parere
personale, non credo che ci siano più quegli ordigni" (16-10-2001, al
termine di un lungo incontro con Vladimir Putin). "Sono e resto con Blair,
l’alleato più vicino a Bush. Non ho mai detto che Saddam non ha armi di
distruzione di massa. Dico solo che potrebbe avere avuto il tempo di
distruggerle o di metterle da qualche altra parte" (17-10-2002, dopo le
incredule proteste di Londra e Washington).
"Mediaset non farà alcun ricorso al condono fiscale" (30-12-2002).
Berlusconi smentisce le rivelazioni del quotidiano La Repubblica, il quale
calcola che il condono fiscale contenuto nella legge finanziaria Berlusconi
consentirà al gruppo Mediaset di chiudere la lite col fisco per il possesso di
società off-shore risparmiando multe per 100 milioni di euro, pari a 200
miliardi di lire. Cinque mesi dopo, il settimanale l’Espresso scoprirà che
Mediaset ha regolarmente fatto ricorso al condono, risparmiando così circa
120 milioni di euro di imposte.
"Ho assoluta fiducia nella Cassazione, fiducia che non né mai mancata. Altra
cosa sono certi pm che vogliono un ruolo particolare e imbastiscono processi
che finiscono nel nulla" (26 gennaio 2003).L’indomani la Cassazione gli dà
torto e non sposta i suoi processi da Milano. Lui, il premier, tuona subito
contro i "giudici golpisti".
BERLUSCONI IMPUTATO
"Giuro sui miei cinque figli che non so nulla di quanto mi viene contestato
(le tangenti alla Guardia di Finanza, ndr). Sono vittima di una grande
ingiustizia. Mi dicono che questo avviso è la risposta a quanto stiamo
facendo" (23-11-94). "E’ come se mi avessero mandato un avviso di
garanzia accusandomi di non chiamarmi Silvio Berlusconi. Siccome sono
certo di chiamarmi Silvio Berlusconi, non credo che nessun tribunale giusto
al mondo possa condannarmi perché mi chiamo Silvio Berlusconi. Può
esserci una condanna, ma allora non sarà un atto di giustizia, ma
sovversione" (1-12-94). "Io corruttore? Sarebbe come incolpare suor Teresa
di Calcutta, dopo una vita di sacrifici, se una bambina dell’istituto allungasse
una mano per pigliare un quarto di mela dal fruttivendolo, non per sé, ma
per darlo ad un altro" (27-10-95). "Nessuno si è reso responsabile di
corruzione, il capo del gruppo non era minimamente a conoscenza di quanto
gli viene addebitato. Il vero scandalo sta semmai nel fatto che la mia
impresa, come quasi tutte le imprese italiane, sia stata sottoposta a
pressioni concussive da parte di un corpo armato dello Stato... Siamo stati
costretti a pagare da un’associazione a delinquere come la Guardia di
Finanza, da elementi deviati di un corpo armato dello Stato" (16-1-96). Con
buona pace dell’incolpevole prole, due dirigenti Fininvest verranno
definitivamente condannati per corruzione della Guardia di Finanza, un
consulente legale definitivamente per favoreggiamento, i due segretari per
falsa testimonianza in primo e secondo grado, mentre Berlusconi verrà
condannato dal Tribunale per corruzione, dichiarato prescritto (cioè
responsabile, ma non più punibile) dalla Corte d’appello, infine assolto dalla
Cassazione. Ma solo per "insufficienza probatoria".
"Publitalia non ha mai emesso fatture false, e funziona come un orologio"
(31-5-95). Ma i massimi dirigenti di Publitalia, dal presidente fondatore
Marcello Dell’Utri in giù, hanno patteggiato condanne per decine di miliardi
di false fatture e frodi fiscali.
"Sono pronto a lasciare la guida del Polo, la Camera e la vita politica se
verrà dimostrato un rapporto mio o della Fininvest o di una società del
gruppo col signor Bettino Craxi, diverso da quello della pura amicizia!" (29-
11-95). Craxi è colui che nel 1984 impose con il suo governo al Parlamento
ben due decreti ad personam, i "decreti Berlusconi", per salvare le
televisioni dell’amico finite sotto inchiesta (e minacciate di sequestro dai
magistrati) perché trasmettevano illegalmente su tutto il territorio
nazionale. La Corte di Cassazione, confermando la prescrizione del reato di
finanziamento illecito nel processo sulla società berlusconiana off-shore "All
Iberian", ha ritenuto dimostrato che Berlusconi versò illegalmente a Craxi,
tra il 1990 e il 1992, ben 21 miliardi estero su estero. Ma Berlusconi non ha
lasciato la vita politica.
"Non ho mai fatto alcun attacco alla magistratura" (10-10-95). "Se c’è una
cosa che mi viene addebitata e che non risponde al vero è da parte mia un
giudizio negativo nei confronti dei magistrati" (25-11-95). "Io sono un
grande estimatore della magistratura e l’ho dimostrato nella mia attività di
governo, durante la quale sono sempre stato vicino ai problemi dei giudici"
(7-12-95). "Mi consenta ancora una volta di esprimere ammirazione verso la
magistratura e i giudici" (23-1-96). Una costante dell’azione politica è
l’attacco sistematico, scientifico, incessante alla magistratura di ogni ordine
e grado: dai pm di Milano (ma anche di Palermo, Napoli, Torino: tutti quelli
che si sono occupati di lui o di sue aziende) ai giudici per le indagini
preliminari, da quelli di tribunale a quelli di appello, su su fino alle sezioni
unite della Corte di Cassazione, massima istanza giurisdizionale del Paese.
"Le inchieste sul mio gruppo sono iniziate soltanto dopo il mio impegno in
politica. Prima non avevo mai subito nulla del genere" (17-6-2003). Ma è
vero il contrario: prima nascono le inchieste sulla Fininvest di Berlusconi, poi
(e forse proprio per questo) Berlusconi "scende in campo" politico. La prima
indagine (poi archiviata) sul Berlusconi imprenditore, per traffico di droga,
fu aperta a Milano nel lontano 1983. Nel 1989 poi, sempre a Milano,
Marcello Dell’Utri finì per la prima volta sotto inchiesta per mafia
(prosciolto). La tesi della persecuzione politica per via giudiziaria, già
esposta dal premier in una denuncia a Brescia, è stata così smontata dal gip
Carlo Bianchetti nell’archiviazione del 15 maggio 2001: "Risulta dall’esame
degli atti che, contrariamente a quanto si desume dalle prospettazioni del
denunciante, le iniziative giudiziarie avevano preceduto e non seguito la
decisione di "scendere in campo" [Il pool di Mani pulite ha compiuto, tra] il
27 febbraio ’92 e il 20 luglio ’93, ben 25 accessi presso Fininvest e
Publitalia". Lo stesso Berlusconi, al momento di entrare in politica verso la
fine del 1993, aveva confidato ai famosi giornalisti Enzo Biagi e Indro
Montanelli (che l’hanno poi raccontato): "Se non entro in politica, fallisco e
mi arrestano".
"E questo potere arbitrario e di casta è stato illiberalmente esercitato nel
1994 contro un governo sgradito alla magistratura giacobina di sinistra,
governo messo platealmente sotto accusa attraverso il suo leader in un
procedimento iniziato a Napoli mentre presiedeva una Convenzione delle
Nazioni Unite e sfociato poi, per assoluta mancanza di fondatezza, in una
clamorosa assoluzione molti anni dopo" (29-1-2003). Berlusconi si ostina a
ripetere che, nel 1994, il suo governo fu rovesciato dall’invio di un "avviso di
garanzia" per le mazzette Fininvest alla Guardia di Finanza, a Napoli, mentre
lui presiedeva un convegno sulla criminalità organizzata. Si trattava in realtà
di un "invito a comparire" (una convocazione per un interrogatorio), dovuto
per legge, che non fu affatto notificato a Napoli, ma a Roma. E fu
preannunciato al telefono all’interessato la sera prima (21 novembre ’94)
dai carabinieri. Fu dunque Berlusconi, pur sapendo di essere sospettato di
corruzione, a decidere ugualmente di presiedere il convegno anche
l’indomani (giorno 22), esponendo il buon nome dell’Italia al ludibrio
internazionale. Ai magistrati milanesi, secondo un’informativa dei
carabinieri, risultava che lui, la sera stessa del 21, sarebbe rientrato a Roma
abbandonando il convegno napoletano inaugurato la mattina. Perciò
inviarono i militari per la consegna a Roma, non a Napoli. Quanto alle
ragioni della caduta del governo, quell’atto non ebbe alcuna conseguenza.
L’hanno stabilito i magistrati di Brescia, ai quali Berlusconi aveva presentato
un esposto contro i magistrati milanesi per "attentato agli organi
costituzionali" (cioè al suo primo governo). Nell’ordinanza del giudice Carlo
Bianchetti che il 15 maggio 2001 archivia l’inchiesta e assolve il pool di
Milano, si legge: "Alla causazione del cosiddetto "ribaltone" è stata
sostanzialmente estranea la vicenda dell’invito a presentarsi, dal momento
che, secondo la testimonianza dell’allora ministro Maroni, la decisione della
Lega Nord di "sfiduciare" il governo Berlusconi (decisione che era stata
determinante nella caduta dell’Esecutivo) era stata formalizzata il 6
novembre 1994, e perciò due settimane prima; trovava comunque le sue
radici in un insanabile contrasto tra la Lega Nord e gli altri partiti del Polo
delle Libertà risalente a fine agosto ’94, allorché l’on. Bossi era venuto a
sapere dell’intenzione del capo del governo di "andare alle elezioni
anticipate in autunno".
"Nel processo Sme non ci sono né indizi né prove contro di me, c’è solo il
teorema della signora Stefania Ariosto, una mitomane che ha fatto dei
pettegolezzi. Per la Sme mi aspetterei non un processo, ma una medaglia
d’oro al valore civile per avere salvato l’Italia da una svendita di un bene
pubblico per 500 miliardi quando ne valeva 2500". La teste Stefania Ariosto
non parla dell’affare Sme: si limita a raccontare ciò che ha visto e sentito a
proposito di Previti e della corruzione di alcuni giudici romani. In realtà, nel
processo Sme, gli imputati sono sotto accusa per alcuni bonifici bancari. Il
primo riguarda l’industriale Pietro Barilla (deceduto nel ’93): il 2 maggio e il
26 luglio 1988 da un conto estero di Barilla partono due accrediti (1 miliardo
e 800 milioni di lire) destinati all’avvocato Attilio Pacifico, braccio destro
dell’avvocato berlusconiano Cesare Previti. Pacifico versa, secondo l’accusa,
200 milioni in contanti al giudice Filippo Verde, e tramite bonifico 850 a
milioni a Previti e 100 al giudice Renato Squillante. Il secondo bonifico
chiama invece direttamente in causa la Fininvest. Il 6 marzo 1991, dal conto
svizzero "Ferrido", aperto dal capo della tesoreria Fininvest Giuseppino
Scabini, vengono accreditati 434.404 dollari sul conto "Mercier" di Previti, da
dove, un’ora dopo, vengono girati sul conto "Rowena" del giudice Squillante.
Secondo l’accusa, il conto Ferrido (della galassia All Iberian) era alimentato
con fondi personali e familiari di Berlusconi. Di qui l’accusa, per tutti, di
corruzione giudiziaria. Per la Sme (la finanziaria alimentare dell’Iri),
Berlusconi non sventò alcuna svendita: la quota dell’azienda in vendita da
parte dell’Iri era stata valutata 500 miliardi da due esperti dell’università
milanese Bocconi, e dunque Carlo De Benedetti, unico offerente nel 1985,
aveva offerto quella cifra. Poi Berlusconi, su ordine di Craxi, si intromise
nell’affare, rilanciando per un 10% appena: il minimo indispensabile per
entrare in partita. Dunque offrì 550 miliardi, poco più di De Benedetti, poco
meno di un quinto rispetto al valore che oggi egli pretende di attribuire alla
Sme del 1985.
"La magistratura politicizzata, nel 1992-’93, ha cancellato cinque partiti
dalla vita pubblica, risparmiando i comunisti per portarli al potere". A parte
il fatto che, a Milano, il pool Mani Pulite arrestò e inquisì quasi l’intero
vertice del Pci-Pds, esattamente come quelli dei partiti moderati, va detto
che le prime elezioni dopo Tangentopoli non le vinsero le sinistre. Le vinse
Berlusconi, occupando lo spazio lasciato libero dal pentapartito che si era
sciolto per mancanza di voti dopo lo scandalo. Il 24 gennaio 1994, al
momento della sua discesa in campo, il Cavaliere elogiò il pool di Milano per
avere scoperchiato lo scandalo di Tangentopoli: "La vecchia classe politica è
stata travolta dai fatti e superata dai tempi [...]. L’autoaffondamento dei
vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e del
finanziamento illegale dei partiti, lascia il paese impreparato e incerto...". E
il 6 febbraio rincarò la dose: "Basta con i ladri di Stato, noi siamo per una
politica nuova, diversa, pulita. Siamo l’Italia che lavora contro l’Italia che
ruba". Subito dopo tentò di avere nel suo governo i due simboli del pool di
Mani Pulite: Antonio Di Pietro al ministero dell’Interno e Piercamillo Davigo
alla Giustizia. I due, però, rifiutarono. Ma evidentemente, all’epoca,
Berlusconi non li considerava "toghe rosse".
"I magistrati milanesi abusavano della carcerazione preventiva per estorcere
confessioni agli indagati" (30-9-2002). Anche questo cavallo di battaglia
della polemica berlusconiana anti-giudici è smentita dai fatti e, soprattutto,
dalla relazione consegnata al governo dai quattro ispettori ministeriali inviati
contro il pool di Milano nell’ottobre 1994 dal guardasigilli Alfredo Biondi
(Forza Italia, primo governo Berlusconi). Relazione resa nota il 15 maggio
’95: "Nessun rilievo può essere mosso ai magistrati milanesi, i quali non
paiono aver esorbitato dai limiti imposti dalla legge nell’esercizio dei loro
poteri [...]. Non si è riscontrata un’apprezzabile e significativa casistica di
annullamenti delle decisioni che hanno dato luogo a quelle detenzioni [...]. I
provvedimenti custodiali sono stati spesso suffragati [...] dall’ulteriore e
decisiva prova della confessione dell’indagato. Né è risultato che tali
confessioni siano state in seguito ritrattate perché rese sotto la minaccia
dell’ulteriore protrarsi della detenzione [...]. Non è possibile ascrivere quelle
confessioni alle "condizioni fisiche e psicologiche disumane" nelle quali si
sarebbero venuti a trovare molti indagati, alcuni dei quali suicidatisi,
condizioni cui fa riferimento l’on. Sgarbi: non è stata mai segnalata
l’applicazione di regimi detentivi differenziati e inaspriti rispetto alla
generalità dei casi".
"I magistrati del pool di Milano avevano come obbiettivo quello di favorire la
presa di potere da parte delle sinistre" (9-5-2003). A parte le considerazioni
già esposte, è interessante leggere la risposta data il 23 ottobre 1996 dal
ministro dell’Interno britannico Simon Brown al Parlamento britannico, per
spiegare il diniego opposto al ricorso degli avvocati di Berlusconi, i quali
parlavano di inchieste e reati "politici" per opporsi alla consegna dei
documenti sui conti esteri della galassia All Iberian: "Se ben capisco
l’argomentazione dei richiedenti [la Fininvest], essi sostengono che l’azione
giudiziaria in corso in Italia per donazioni illecite di 10 miliardi al signor
Craxi è politica, e che le accuse di falso contabile [...] sarebbero reato
connesso. Le donazioni politiche illegali sono un reato politico? Non sono
d’accordo. A me sembra piuttosto un reato contro la legge ordinaria
promulgata per garantire un corretto ordinamento del processo democratico
in Italia - reato in nulla diverso, diciamo, dal votare due volte alle elezioni
[...]. Il reato in questione è stato commesso per influenzare la politica del
governo: non si pagano clandestinamente grosse somme di denaro a un
partito politico senza uno scopo [...]. Non accetto in nessun modo che il
desiderio della magistratura italiana di smascherare e punire la corruzione
nella vita pubblica e politica, e il conflitto che ciò ha creato tra i giudici e i
politici in quel paese, operi in modo tale da trasformare i reati in questione
in reati politici. È un uso scorretto del linguaggio definire la campagna dei
magistrati come improntata a "fini politici", o le loro azioni nei confronti del
signor Berlusconi come persecuzione politica. Al contrario, tutto ciò che ho
letto su questo caso suggerisce che la magistratura stia dimostrando una
giusta indipendenza politica dall’esecutivo ed equanimità nel trattare in
modo eguale i politici di tutti i partiti [...]. [Il reato] non è intrinsecamente
politico, né lo diviene nel caso che l’autore del reato speri di cambiare la
politica del governo comprando influenza politica, e neanche se il potere
giudiziario, perseguendo lui, spera di ripulire la politica. Nessuno degli
argomenti dei richiedenti riesce a persuadermi in nulla che i reati in
questione siano politici. Non riesco proprio a vedere i pagatori corrotti della
politica come i "Garibaldi di oggi", o cercatori di libertà, o "prigionieri
politici".
"I magistrati milanesi abusavano della carcerazione preventiva per estorcere
confessioni agli indagati" (30-9-2002). Anche questo cavallo di battaglia
della polemica berlusconiana anti-giudici è smentita dai fatti e, soprattutto,
dalla relazione consegnata al governo dai quattro ispettori ministeriali inviati
contro il pool di Milano nell’ottobre 1994 dal guardasigilli Alfredo Biondi
(Forza Italia, primo governo Berlusconi). Relazione resa nota il 15 maggio
’95: "Nessun rilievo può essere mosso ai magistrati milanesi, i quali non
paiono aver esorbitato dai limiti imposti dalla legge nell’esercizio dei loro
poteri [...]. Non si è riscontrata un’apprezzabile e significativa casistica di
annullamenti delle decisioni che hanno dato luogo a quelle detenzioni [...]. I
provvedimenti custodiali sono stati spesso suffragati [...] dall’ulteriore e
decisiva prova della confessione dell’indagato. Né è risultato che tali
confessioni siano state in seguito ritrattate perché rese sotto la minaccia
dell’ulteriore protrarsi della detenzione [...]. Non è possibile ascrivere quelle
confessioni alle "condizioni fisiche e psicologiche disumane" nelle quali si
sarebbero venuti a trovare molti indagati, alcuni dei quali suicidatisi,
condizioni cui fa riferimento l’on. Sgarbi: non è stata mai segnalata
l’applicazione di regimi detentivi differenziati e inaspriti rispetto alla
generalità dei casi".
BERLUSCONI E IL CONFLITTO D’INTERESSI
"Dire che nell’attività di governo e politica ci sia stato qualche volta un
interesse personale, non solo del signor Berlusconi, ma anche di altri
membri di Forza Italia, è una vergogna" (14-12-95). "La vecchia classe
politica che facendo politica prendeva soldi. Io posso dire che per fare
politica ne ho spesi parecchi" (15-12-95). Il primo governo Berlusconi
passerà alla storia per due provvedimenti: il decreto Biondi, che vietava le
custodia in carcere per corruzione alla vigilia dell’arresto di Paolo Berlusconi
per corruzione; e la legge Tremonti, che ha fruttato alla Mediaset dello
stesso Berlusconi (Silvio) sgravi fiscali per 243 miliardi.
"Ho dato incarico ai miei manager di avviare le dismissioni delle mie
proprietà" (23-3-94). "Ho sempre riconosciuto che c’era un’anomalia da
sanare... Sono il primo a proporre una soluzione di separazione drastica tra
l’esercizio dei doveri di governo e l’esercizio dei diritti proprietari" (2-8-94).
"Le mie aziende o le congelo o le vendo. Voglio assolutamente dividere i
miei interessi privati che ho come azionista Fininvest dalla mia attività
pubblica che svolgerò nell’interesse di tutti. Credo che quella del blind trust
americano sia la soluzione ideale" (11-4-94). "Oggi vi annuncio che ho
deciso di vendere le mie aziende, perché credo che qualcuno, quando si
prende un impegno e dentro questo impegno ci sono certe condizioni che
sono ostative allo svolgimento globale dell’impegno, deve avere anche il
coraggio di sacrificarsi... Non sarà facile trovare un compratore, ma
andremo in Borsa con la televisione e terrò una quota assolutamente non di
maggioranza" (23-11-94). "Da novembre ho dato mandato irrevocabile alla
Fininvest di vendere le tv" (18-3-95). "Venderò le tv ad imprenditori
internazionali" (Il Giornale, 1-4-95). "Il conflitto d’interessi sarà risolto nei
primi cento giorni del mio governo" (5-5-2001). Nove anni dopo il suo primo
governo e due anni dopo l’avvio del secondo, Berlusconi non ha risolto il
conflitto d’interessi né tantomeno ha ceduto alcuna delle sue aziende. Anzi,
il 21 dicembre 2001, comunica agli italiani che "il conflitto d’interessi esiste
solo nel senso che le mie aziende ci hanno rimesso da quando sono entrato
in politica al servizio del Paese". E il 7 maggio 2003, ancora più esplicito: "Il
conflitto d’interessi è una scusa. Tutti vedono bene che non c’è nessun
conflitto d’interessi. Anzi, io non posso fare che cose sfavorevoli al mio
gruppo. Non c’è stata una sola decisione assunta da questa maggioranza e
da questo governo che abbia portato cose a mio favore. Da quando sono
sceso in politica, il mio gruppo ha subìto soltanto danni enormi".
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